“Mi auguro un’Italia più serena, meno lacerata, meno divisa, dove la lotta politica non sia una guerra continua e dove ci sia rispetto tra le parti che fanno politica e che competono per la conquista della maggioranza” questo è l’augurio che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano rivolgeva agli italiani, in particolare ai giovani studenti delle scuole medie, qualche giorno prima delle ultime elezioni amministrative. In realtà, poco tempo dopo, Letizia Moratti, alla fine di un confronto televisivo quando ormai non era più possibile replicare, pugnalava alla spalle il rivale Giuliano Pisapia citando una vicenda giudiziaria senza (forse) sapere che si era conclusa con la totale assoluzione dell’avvocato milanese.
Il Palazzo della politica è sempre più lontano dalla gente e sempre più insensibile al richiamo e al rispetto delle Istituzioni. Si avvita su sé stesso in una lotta continua tra affari ed interessi, senza un briciolo di etica, perdendo di vista il “bene comune”. Cresce l’antipolitica. Le liste dei grillini arrivano ad ottenere in alcune città, come ad esempio Bologna, percentuali di consenso a due cifre. Negli ultimi trent’anni il numeri di coloro che disertano le urne è cresciuto progressivamente, senza sosta. Alla fine degli anni settanta andava alla urne il 90% degli elettori, poi l’astensione ha cominciato a crescere e la partecipazione al voto degli italiani è precipitata sempre più fino ad arrivare al 63,6% alle ultime elezioni regionali (2010). Il penultimo dato, le elezioni europee del 2009, vede la partecipazione elettorale al 69,6%. Unico momento in controtendenza, in questo trentennio, è stato quello di “Tangentopoli”, segno che il richiamo ad una politica più sobria, più etica e morale è fortissimo negli italiani.
A Trieste, al primo turno di queste ultime amministrative, si è recata al voto poco più della metà egli elettori giuliani: il 56,69% degli aventi diritto contro il 74,50% delle comunali del 2006. Un calo del 18%. Non è da meno Gorizia che ha registrato un -23%. E così in tutta Italia dove, ad esempio, ad eccezione di Torino e Cagliari (in lieve crescita), e Milano (stabile), la partecipazione al voto ha registrato un calo diffuso: -2% a Bologna, -7% Napoli, -8% a Reggio Calabria, -2% a Siena, -1,5% a Varese, solo per citarne alcune. L’area dell’astensionismo in media, oggi, arriva a toccare il 40%.
Il nuovo sindaco di Trieste, alla fine, sarà eletto solo da un quarto degli aventi diritto al voto. Sarà il sindaco di una minoranza e tutto ciò non è sintomo di una democrazia sana, di una democrazia matura. E’ solo l’ennesima dimostrazione della crescente disaffezione degli italiani verso questo modo di fare politica oggi in Italia, caratterizzata dall’uso ormai sistematico del “metodo Boffo”, dalla radicalizzazione del dibattito politico, dal concepire l’avversario come un nemico da annientare, dalla continua attività di dossieraggio, dalla trasformazione di una visione controversa in una strisciante ed infinita guerra civile. Una “casta” che si perpetua con qualsiasi mezzo per non perdere benefici e privilegi.
Una disaffezione ed un astensionismo gravemente presente nel mondo dei giovani. Ho recentemente partecipato ad una sessione d’esame di cultura generale ed è stato avvilente constatare che alcuni ultra-ventenni e laureati non conoscevano il nome del presidente del Senato, i poteri del capo dello Stato, del Parlamento, del presidente del Consiglio, non ricordavano che tipo di repubblica è la Repubblica Italiana. Quanto anacronistiche appaiono oggi le parole che Piero Calamandrei pronunciò, quel 26 gennaio del 1955, a Milano, nel Salone degli Affreschi.
Che possiamo allora pretendere dagli elettori se addirittura è la stessa classe politica che invita al “non voto”, cioè a disertare le urne al prossimo turno referendario? Nulla. Torniamo a studiare la “Costituzione Italiana”.
Armando Della Bella
copyright © giugno 2011