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Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea

Oscar Wilde
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\\ CITTADINI ATTIVI : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Armando Della Bella (del 29/10/2008 @ 01:38:51, in Questione Morale, linkato 1608 volte)

“Con Di Pietro avevamo sottoscritto un programma per costituire un unico gruppo, quando si è accorto che aveva un numero sufficiente di parlamentari per costituirne uno da solo, Di Pietro ha stracciato quell'impegno». Duro il giudizio sull'ex pm: «Molto lontano dall'alfabeto della cultura democratica del centrosinistra». E ancora: "L'alleanza con Di Pietro è finita perché dopo le elezioni ha rotto il patto di programma e ha rifiutato il gruppo unico". Così si esprimeva, in TV da Fabio Fazio, Walter Veltroni, leader del Partito Democratico, parlando del suo ex alleato Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori. Secca la replica dell'ex pm: "Si arrampica sugli specchi, la verità è che il suo partito è inesistente, e negli ultimi mesi ha oscillato tra collaborazione con il governo e collaborazionismo".

Un patto elettorale e la promessa di formare un gruppo unico alla Camera sono andati in frantumi subito dopo il voto. Su questa alleanza si era schiantato tutto il centrosinistra alle ultime politiche: la scomparsa della sinistra radicale ed ambientalista, la caporetto socialista, la diaspora mastelliana. Su questa alleanza si era avvinghiata l'IDV per restare in Parlamento. Su questa alleanza il PD aveva giocato la sua sconfitta, su questa alleanza il PdL aveva costruito il suo granitico successo. Su questa alleanza si era costruito un programma di governo, su questa alleanza si era chiesto il consenso ad oltre il 37% dell'elettorato. Un patto tradito.

Ma non l'ultimo. Tra i tanti, come non ricordare il “salto della quaglia” compiuto da Mastella nel 1998? E quello compiuto da Dini nel 1996 e poi, l'ultimo, nel 2008? E le tanto promesse leggi sul “conflitto d'interesse”, innalzamento delle pensioni minime, abbassamento del prelievo fiscale, regolarizzazione del precariato, lotta a sprechi e privilegi della politica, sconfitta della criminalità organizzata e riqualificazione del meridione?

Il “teatrino” della politica. Una politica che non celebra nemmeno più i congressi nazionali. L'ultimo “vero” congresso, condito da una sana contrapposizione interna, è stato quello di Rifondazione Comunista. Alcuni partiti, negli ultimi 10 anni, non li hanno MAI celebrati, anche quei partiti supposti più virtuosi. La politica attuale: quanto di più effimero ed irrazionale la mente dell'uomo ha potuto partorire. Un mondo, oggi, dove non esiste confine tra la verità e la bugia, tra la convinzione e l'ipocrisia, tra l'idealismo e l'opportunismo. Altri tempi quelli della “Costituente” e del “miracolo italiano” del dopoguerra. E' alla politica che l'elettore delega la soluzione dei propri problemi, la gestione del Paese, la pianificazione del futuro dei propri figli. E' ai politici eletti che il cittadino medio chiede che le promesse siano mantenute.

Ma se si è pronti a tradire, per denaro, bieco opportunismo e tornaconto, addirittura gli impegni presi con gli alleati, chi potrà mai oggi garantire l'elettore che il suo voto sarà rispettato per le promesse fatte ed il mandato conferito? In politica, di questi tempi, sempre più affidabilità e coerenza non fanno più rima con decenza...

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Di Cittadini Attivi (del 27/10/2008 @ 01:29:55, in Pubblica Amministrazione, linkato 1942 volte)

Non si possono punire quei sindaci che hanno tenuto in passato un bilancio in pareggio, quando altri sforavano. Con le successive sanatorie - vedi oggi i casi di Roma, 500 milioni di euro, e Catania, 140 milioni di euro - e con i sussidi basati sulla spesa storica, chi più aveva speso, più ha continuato e continua a ricevere e chi meno ha speso, continua a patire. La situazione è aggravata dai ritardi nella compensazione per l’abolizione dell’Ici sulla prima casa, un’imposta che pesa di più in quei Comuni che, penalizzati dagli scarsi sussidi centrali, avevano alzato il tributo locale.

E' partito dal Veneto con destinazione Roma, il movimento composto da quasi 500 sindaci, appartenenti ad ogni schieramento politico che, a gran voce, quale sostitutivo dell'ICI, chiedeva al governo italiano la compartecipazione al 20% dell'Irpef. L’idea è condivisibile se intesa come manovra immediata e transitoria: dà solo il necessario e ha il merito di rovesciare i ruoli, stimolando il governo a legiferare quanto prima. Non va bene se è intesa come riforma a regime.

Nel federalismo fiscale il finanziamento dovrà alla fine derivare, per varie ragioni, da un mix di fonti, tra cui potrebbe star bene anche la compartecipazione comunale all’Irpef: ma non al 20%. A quel livello, creerebbe troppe differenze tra comuni ricchi e comuni poveri, obbligando a complicate e controverse manovre compensative di perequazione, perequazione che deve però attenuare, ma non annullare, le differenze.

La compartecipazione sensibilizza i Comuni alla lotta all'evasione fiscale e contribuisce a distribuire le risorse pubbliche secondo le necessità. Infatti un maggiore sviluppo produttivo genera un maggior gettito fiscale che sarebbe restituito in quantità superiore ad altre realtà territoriali perché là dove è più forte la macchina produttiva, più spesa pubblica è richiesta. Viceversa essa però non responsabilizza il sindaco che si limita ad incassare una parte del gettito fiscale deciso dallo Stato senza perciò esercitare alcun freno sulla propria spesa pubblica.

Il federalismo fiscale invece imporrà che una buona parte della finanza locale poggi su tributi locali rendendo così il cittadino consapevole del costo e del beneficio dei servizi locali inducendo perciò un'autoregolamentazione nelle richieste. Ecco perché la giusta miscela tra compartecipazione, perequazione e federalismo fiscale sarà la via migliore ad una sana amministrazione locale.

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Di Maria Andropoli (del 26/10/2008 @ 01:06:08, in Giustizia, linkato 2021 volte)

Si sa che la giustizia non gode di ottime credenziali e la cosa non è una novità. Ed è luogo comune che il nord d'Italia, ed in particolare il nord-est, sia considerato la locomotiva della nazione, la parte del paese che primeggia nelle classifiche della qualità della vita, dei servizi alla persona, dell'assistenza sociale e sanitaria, dell'impiego e delle disponibilità economiche e finanziarie. Ma, come vedremo, non è sempre così!

Infatti fa notizia che in Veneto manchino l'ufficio ed il personale amministrativo del referente per l'informatica giudiziaria. Gli esperti d'informatica tra Veneto e Friuli sono solamente nove. Gli stanziamenti sono pochi, non c'è possibilità di acquistare i computer, pagare i docenti per i corsi di formazione e aggiornamento. Questa precaria situazione rallenta, e non di poco, lo snellimento delle varie procedure come l'aggiornamento del casellario giudiziale, l'elencazione dei precedenti processi e condanne di ogni singolo imputato, l'innovativa spedizione di tutti gli atti via e-mail. Alcuni magistrati, rimasti senza computer, per scrivere le sentenze sono costretti ad usare quelli propri. Si è arrivati al punto di chiedere i computer in prestito alla Regione (ne sono stati resi disponibili circa 40).

La notizia è stata data dal responsabile dell'informatica per il Veneto, Gianmaria Pietrogrande, presidente della sezione collegiale del Tribunale di Venezia, durante l'incontro svoltosi recentemente a Verbania, in Piemonte, con i responsabili dell'informatica giudiziaria di tutt'Italia. Come si diceva, quello che può apparire incredibile è che, stando ai dati dell'incontro, il Veneto, in realtà, su questi temi, è il fanalino di coda.

Diciamolo pure, di questi tempi, con il continuo crescente livello della micro e macro criminalità, specie se d'importazione extracomunitaria, con il costante aumento degli atti delittuosi, la giustizia dovrebbe essere uno strumento sostenuto per un migliore funzionamento: è invece vergognoso che la situazione sia così drammatica.

Ma ciò che stona è il sapere che a Palermo c'è una sede d'informatizzazione di 200 mq con 4 dipendenti amministrativi e che in Puglia ci sono addirittura 32 tecnici informatici pari al numero complessivo dei tecnici presenti in tutto il nord d'Italia. E poi si dice che la "giustizia è lenta"...

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