Dopo la denuncia de “L’espresso” sulle pensioni d’oro degli ex parlamentari e l’imbarazzo dei politici, il diessino Salvi (nella foto) fa un appello al premier: di fronte alle reazioni dei cittadini la chiusura totale della classe politica è un brutto segnale per la credibilità delle istitizioni (di Primo Di Nicola)
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L’aspetto più inquietante legato alla pubblicazione dei privilegi pensionistici degli ex parlamentari? «Senza dubbio l’imbarazzante silenzio delle istituzioni: un comportamento francamente scandaloso e inaccettabile». Cesare Salvi, senatore e leader della sinistra diessina, non ha peli sulla lingua: «Mi aspettavo una reazione adeguata allo stupore che questa vicenda ha provocato nei cittadini», aggiunge, «invece c’è stata una chiusura totale della classe politica: un brutto segnale per la credibilità delle istituzioni ».
Calate improvvisamente sul confronto previdenziale avviato dal governo con i partiti e con le parti sociali, le rivelazioni dell’ultimo numero de “L’espresso” sui vitalizi di deputati e senatori (“Onorevole si dia un taglio”) hanno avuto l’effetto di una doccia fredda sulla classe politica per i meccanismi di sfacciato favore che li governano: solo cinque anni di contribuzione per acquisire il diritto; possibilità di cumulo con ogni tipo di reddito; bassissimi limiti di età per incassare vitalizi che oscillano tra i 3 e i 10 mila euro lordi mensili. Alle reazioni immediate e sdegnate dei cittadini, come testimoniano le centinaia di mail inviate al nostro sito, si è infatti contrapposto l’imbarazzato mutismo degli esponenti politici di ogni sponda e colore.
Uniche eccezioni le proteste e le sollecitazioni delle confederazioni sindacali. Luigi Angeletti, segretario generale del la Uil, è stato il più duro. «Nel capitolo previdenza ci sono molte storture», ha denunciato, «ma la cosa più scandalosa è continuare a chiedere a 15 milioni di lavoratori di lavorare di più non perché è utile alla loro pensione, ma perché serve a coprire il buco della previdenza dei parlamentari».
Poco tenero anche Giorgio Cremaschi, segretario generale della Fiom, per il quale «tutti i privilegi previdenziali dei parlamentari andrebbero tagliati, così come tutti i costi della politica scandalosi e irritanti». Silvano Miniati, segretario generale della Uil pensionati, è stato anche lui nettissimo: «È sorprendente», ha detto, «che oggi un parlamentare possa andare in pensione con 20 anni di contributi e addirittura meno di 50 anni di età nell’acquiescenza di tutti i deputati e senatori, mentre in quello stesso Parlamento molti ritengono scandaloso che con 35 anni di lavoro in fabbrica si possa andare in pensione a 57 anni e accusano il sindacato di essere conservatore perché si oppone all’applicazione dello “scalone” di Maroni». Messaggi chiaro secondo Cesare Salvi, per il quale, davanti alle difficoltà del sistema previdenziale, i parlamentari non possono più chiedere tagli ai trattamenti pensionistici altrui se prima non cominciano dai propri. Magari introducendo anche per i loro vitalizi il sistema contributivo e gli altri criteri fissati per tutti i cittadini dalla riforma Dini. Ma occorre far presto, passando dal silenzio imbarazzato all’azione riformatrice.
Come? Visto l’immobilismo del Parlamento, che in materia previdenziale si autoamministra ed è dunque l’unico organo legittimato a intervenire, Salvi si appella direttamente al presidente del Consiglio Romano Prodi. Quello dei privilegi pensionistici, secondo il leader diessino, è un tema sul quale l’Unione deve dare risposte immediate e concrete. «Il nostro programma di governo viene richiamato a proposito e a sproposito ogni qualvolta c’è da decidere qualcosa di importante», aggiunge Salvi: «Vorrei ricordare a tutti che esso parla chiaramente anche della riduzione dei costi della politica. E sinora non abbiamo visto nulla. Per questo chiedo a Prodi e al governo di muoversi con misure adeguate che, partendo dai vitalizi e dagli altri privilegi dei parlamentari, diano seguito alle promesse fatte agli elettori in campagna elettorale».
Un appello forte quello di Salvi all’esecutivo nel quale, come rivelato da “L’espresso”, in “conflitto d’interesse” ci sono ben due viceministri e 18 sottosegretari che, oltre all’indennità (circa 190 mila euro lordi l’anno) spettante ai membri del governo, in quanto ex parlamentari incassano già un ricco vitalizio. Ma cosa dice Palazzo Chigi dei loro privilegi pensionistici? Cosa pensa di fare per eliminare i trattamenti di favore? Magari sta facendo qualcosa per “tagliarli”?
“L'espresso” ha provato a interpellare sul tema gli esponenti più in vista dell’esecutivo: dal presidente del Consiglio Romano Prodi (tramite il portavoce Silvio Sircana, «impegnato all’estero», secondo la sua segreteria), ai vicepresidenti Massimo D’Alema e Francesco Rutelli, per non parlare del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta e dei ministri Tommaso Padoa-Schioppa (Economia), Cesare Damiano (Lavoro), Emma Bonino (Politiche europee), Antonio Di Pietro (Infrastrutture), Clemente Mastella (Giustizia). Nessuno di loro ha ritenuto però opportuno rilasciare dichiarazioni sui vitalizi.
L’unico a rispondere è stato il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. Secondo il ministro dell’Ambiente sarà difficile toccare i diritti acquisiti dai parlamentari: «Camera e Senato potrebbero però procedere con un taglio dei vitalizi dal 10 al 30 percento come fatto per i compensi dei ministri», dice. Altra cosa inaccettabile per Pecoraro Scanio sono i cumuli del vitalizio con altri redditi e pensioni: «E’ chiaro che qualcosa dobbiamo fare per rimediare». E aggiunge: «Quello che è certo invece è che coloro che in Parlamento propongono innalzamenti d’età pensionabile e tagli alla previdenza altrui dovrebbero vergognarsi».