Sono 75 gli organismi nell'orbita regionale, ora si tenta di ridurli - Il caso più eclatante è quello di «Lazio service», nata nel 2001 per occupare 40 lavoratori socialmente utili, e arrivata a quota 1200
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(PAOLO BARONI) Roma. La holding-Lazio? Tra enti, aziende, agenzie e organismi vari si contano la bellezza di 75 strutture. Poi c’è il sistema che gravita attorno a Sviluppo Lazio, società presieduta dal potente Giancarlo Elia Valori, che conta una quarantina tra imprese controllate e collegate, ed un drappello di altre aziende che vanno dal Cotral (trasporto) a Laziomatica (che dopo lo scandalo intercettazioni ha cambiato il nome in «Lait»), dalla Fiera di Roma ad Alta Roma, Sanim (immobili) e Astral (strade). Da soli, i 75 enti costano tra 1,6 e 2 miliardi di euro all’anno. E spesso, come conferma un’indagine svolta da Roberto Alagna della Lista Marrazzo, che presiede la Commissione affari istituzionali della Regione, svolgono più o meno le stesse mansioni degli assessorati. In pratica sono inutili. In compenso, però, foraggiano 45 presidenti, 167 consiglieri, 39 direttori generali, 189 revisori dei conti e 88 membri di comitati scientifici. Tutti di diretta emanazione politica. Insomma, lottizzati.
Obiettivi di risparmio
Scorrendo a campione una trentina di bilanci si scopre che metà delle spese, una cifra che oscilla tra 760 e 900 milioni di euro, se ne vanno in costi di gestione. Mentre gli organi statutari (presidente, consiglio, direttore generale e revisori) costano tra i 16 ed i 19 milioni di euro: in media 210 mila euro l’anno, con un picco di 1,2 milioni per l’Arpa ed un minimo di 39 mila euro per l’Apt di Rieti. Alagna ora ne vuole tagliare subito 37, passando da 75 a 38: per i settori dell’edilizia pubblica, del turismo, dei parchi, dei consorzi di bonifica e dei consorzi industriali verrà creato un solo ente regionale che accorperà tutti gli altri. L’obiettivo è quello di «risparmiare, dal giorno dopo, almeno 100 milioni di euro», e nominare alla guida degli enti sopravvissuti dei semplici dirigenti della Regione, per ridurre ancor di più le spese e soprattutto per frenare la spartizione politica. Che nella Regione Lazio, ormai da anni, ha prodotto dei veri disastri.
Il caso «Lazio service»
Il caso più eclatante è quello di «Lazio service». Una società, nata nel 2001 con la giunta Badaloni (centrosinistra) per occupare 40 lavoratori socialmente utili, e che al culmine della propria attività, all’epoca della giunta Storace (centrodestra), è arrivata a sfondare quota 1200. In gran parte parenti di dipendenti della Regione e amici degli amici, assunti in maniera discrezionale, con contratti precari e senza alcun tipo di concorso da un cda infarcito di fedelissimi di An. Doveva occuparsi dei servizi di manutenzione, di portineria, posta e call center e invece è finita per fare intermediazione di lavoro, assumendo anche lavoratori interinali con contratto metalmeccanico che poi venivano girati alla Regione come normali impiegati. E in alcuni casi anche come agronomi. Oggi «Lazio service» è guidata da un amministratore delegato in quota Ds (Tonino D’Annibale), e da un presidente designato dall’Italia dei valori (Sergio Scicchitano) e continua imperterrita la sua attività succhiando ben 65 milioni di euro dal bilancio regionale.
Progetto di riordino
Con la giunta Marrazzo (centrosinistra) il «baraccone» è rimasto infatti in piedi ed anzi sono state fatte altre assunzioni, essenzialmente per ragioni di consenso. Dopo infinite proteste, la giunta a fine 2006 ha proposto ai 900 precari in organico l’assunzione a tempo indeterminato. Ma la Corte dei conti si è messa di traverso chiedendo quali attività la Regione intesse esternalizzare per giustificare questo organico-monstre e di fatto l’operazione si è bloccata.
Chi intende andare avanti, invece, è Alagna che conta di portare presto in Consiglio il suo progetto di riordino degli enti visto che l’analoga norma inserita nell’ultima finanziaria è rimasta sino ad ora lettera morta. «Sarà una sfida assolutamente in salita - spiega - perché il sistema dei partiti ha grandi difficoltà ad intervenire su questo terreno. Entro il 7 maggio scadono i termini per gli emendamenti e vedremo cosa accadrà. Se il mia proposta dovesse venire stravolta sono intenzionato a portarla in aula come testo di minoranza. Non mi importa di creare un problema, ma questo scempio deve finire». E soprattutto chi si oppone al disboscamento deve dirlo pubblicamente, sempre che ne trovi il coraggio.