A livello nazionale un esercito di «beneficiati» per 3 miliardi di euro
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(FRANCESCO JORI) - Diciamocela tutta: se non ci fosse stata la pressione dei media sui costi della politica, non si sarebbe arrivati alla legge varata ieri dal Consiglio regionale del Veneto (nella foto); che poi, a ben vedere, si limita a fare marcia indietro rispetto al poco edificante voto notturno di dicembre, e a introdurre criteri più equi sui vitalizi, oltre a cancellare il ridicolo e vergognoso benefit sul funerale pagato, in vigore da più di trent’anni. Va dato atto alla Regione di aver corretto il tiro, e anche di essere tra le meno disinvolte in materia. Ma va aggiunto che si limita a fare il suo dovere, senza soffrirne più di tanto: i suoi consiglieri semplici, privi cioè di un qualche incarico, mettono in tasca 9 mila euro netti al mese; circa metà dei quali esentasse (mica poco), trattandosi di soldi corrisposti a titolo di diaria. Qualche soldo in più per l’«argent de poche» sta poi per arrivare dall’automatismo che aggancia le loro buste-paga a quelle dei deputati, i quali hanno appena usufruito di un aumento di 4 mila euro lordi l’anno.
Per carità, sono l’inezia di 200 euro al mese; ma quello che a Montecitorio viene definito un «ritocco» è circa il doppio della cifra in cui si traducono i rinnovi contrattuali (biennali...) di molte categorie di lavoratori.
Tanto per rendere l’idea, ai 9 mila euro mensili di un consigliere veneto (che in quasi tutte le altre Regioni sono di più...) fanno riscontro i 1.270,36 euro iniziali di un professore di scuola media; il quale dopo quindici anni di anzianità (l’equivalente di tre legislature) arriva a 1.430. Davvero occuparsi di educazione vale uno scarto così vistoso rispetto alla politica?
E tuttavia, non è il Veneto la pietra dello scandalo, come non sono le sue buste-paga o i suoi benefit a sconquassare i conti pubblici. La vera anomalia sta, a livello nazionale, in un esercito di 150 mila eletti e di altre decine di migliaia di arruolati nell’indotto (un solo dato: 7.535 società controllate dagli enti locali, senza contare le municipalizzate, con tanto di consigli di amministrazione spesso rifugio per i trombati del voto), il cui costo complessivo viaggia sui 3 miliardi di euro l’anno.
La cosa singolare è che molti di costoro si infastidiscono o addirittura si risentono quando si parla pubblicamente del loro trattamento.
A volte pure con una buona dose di ipocrisia: ad esempio, delle cifre e dei benefit dei consiglieri regionali veneti i media hanno parlato ripetutamente da diversi anni a questa parte, senza mai ricevere smentite; appena le segnalazioni hanno assunto un rilievo nazionale magari grazie a privilegi assurdi come il funerale pagato, sono partite violentissime reazioni. Espresse da qualche aspirante Tex Willer del seggio con roboanti comunicati in stampatello, proprio come nei fumetti.
Indignarsi dell’indignazione della gente: è davvero il massimo. Perché le cose che fanno scaldare il cittadino medio, specie se raffrontate al suo standard quotidiano, sono molto concrete; e bastano pochi esempi a dimostrarlo. Perché il Quirinale deve costare 235 milioni di euro l’anno, l’87 per cento dei quali per il personale? Perché il governo italiano ha 103 componenti, e lo staff dei vari ministeri comporta una spesa di un miliardo e 375 milioni di euro virgola 9? Perché i nostri parlamentari sono 951, e i loro stipendi netti sono il doppio di quelli dei loro colleghi francesi? Perché in Puglia il vitalizio dei consiglieri regionali può arrivare al 90 per cento dell’indennità? Perché a Perugia i Consigli di quartiere sono 13 e a L’Aquila 12, contro i 10 di Torino e i 6 di Venezia? Perché dopo decenni rimangono in vita 139 enti inutili, compreso l’Ispettorato generale degli enti disciolti, che da solo costa 400 milioni di euro l’anno? Perché soltanto qualche settimana fa si è riusciti finalmente a sopprimere nel ministero dell’Agricoltura il «Comitato di coordinamento per la sperimentazione dell’attività di pesca nei molluschi bivalvi con draga idraulica nei compartimenti marittimi di Ancona e San Benedetto del Tronto», ma intanto nello stesso dicastero (sopravvissuto a sua volta a un referendum abrogativo) restano in vita altre 57 baracche del genere?
«La notizia mi indigna», ha tuonato qualche giorno fa Francesco Storace quando è uscita la notizia dei 4 mila euro in più l’anno per i deputati.
Quale è stato il frutto di questo suo sconquasso emotivo? Uscirsene da An per fondare l’ennesimo partito, usufruendo così tra l’altro dei finanziamenti ad hoc che nella generosa Italia dei Palazzi si attribuiscono anche agli «one man party». Prenda il biglietto e si metta in fila, onorevole: allo sportello dell’indignazione, prima di lei, c’è già in coda qualche milione di italiani. Accomunati dal celebre sfogo di Totò: e io pago...