Come personaggio, il tesoriere della Quercia Ugo Sposetti è anche simpatico. Molto meglio la sua schiettezza aggressiva delle melliflue circonlocuzioni d'altri frequentatori del palazzo. Nella bella intervista che Luca Telese gli ha fatto, Sposetti conferma un temperamento guascone e una vena polemica che non risparmiano nemmeno gli alleati (si fa per dire) di governo. In omaggio alla sua vocazione di guastafeste Sposetti le spara grosse, e possiamo anche concedergli una certa licenza d'uccidere la verità. Lo fan tutti, potrebbe difendersi. Però non dovrebbe esagerare: e invece si è permesso di dichiarare a Telese che «è giunto il momento di impegnarsi in una battaglia democratica per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti».
Se, con l'aria che tira, queste parole fossero venute da altri, sarebbe stato proposto un ricovero al neurodeliri. Ma Sposetti è un attore di rilievo della recita politica, lo si dovrebbe ritener capace di fare i conti, quelli dei libri contabili e quelli dei voti. Il che fa della sua idea una deliberata provocazione.
L'audacia non basta, ci vuole di più e di peggio per riproporre in tutta la loro indecenza istituti - come appunto il finanziamento pubblico dei partiti - che una stragrande maggioranza d'italiani ha bocciato in un referendum; che la classe politica ha surrettiziamente reintrodotto - e Sposetti ci ha messo del suo - addirittura accrescendolo; che a quanto pare, pur nella nuova e abusiva veste con cui lo si è voluto mascherare, non soddisfa il grande elemosiniere e il supremo gestore delle finanze diessine. Uomo di numeri, Sposetti vuol essere anche uomo di principi. E risfodera luoghi comuni virtuosi che tutti i tromboni del Palazzo ripetono da sempre. Il primo tra i luoghi comuni è che, avendo la democrazia un costo, il deplorarne l'entità esorbitante rappresenti un'offesa alle libertà sancite dalla Magna Charta repubblicana, alle istituzioni, a quanti le rappresentano. Aggiunge Sposetti che il finanziamento garantisce equità, perché se esso manca la politica diventa un privilegio dei ricchi (il riferimento a Silvio Berlusconi è rituale).
Sono, quelle di Sposetti, motivazioni risapute. In base ad esse - e con la promessa che grazie al pesante obolo pubblico, non si sarebbero verificati abusi - il finanziamento fu in anni remoti approvato. Ma risultò che copriva solo una parte, e minore, delle spese dei partiti. La parte maggiore derivava o - come nel caso del Pci - da foraggiamenti dell'Urss, o da tangenti e corruzione. Tanto che - dopo la bufera di Tangentopoli dalla quale uscì indenne, misteriosamente, il Pci stipendiato da Stalin e dai suoi successori - i partiti dovettero tutti precipitosamente ridimensionare organici e apparati. Persero sedi e palazzi ma non - a quanto risulta dalla cronaca - il vizio della bustarella.
Siamo seri: il finanziamento fu deliberato ben prima di Berlusconi, la sua degenerazione avvenne ben prima di Berlusconi, adesso le entità politiche che alla grande abbuffata parteciparono pretenderebbero di farne ricadere le responsabilità su Berlusconi. Sarebbe lui il fattore inquinante della democrazia, cristallina fino al 1994. Un po' di contegno, per favore.