Le caste e le amnesie del centrodestra
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L'interesse con cui il pubblico segue le inchieste sui costi della politica, i resoconti sugli sperperi di denaro da parte di agenzie nazionali, regioni e enti locali, lo stesso successo del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sulla «Casta », indicano che c'è in giro molta insofferenza per il «rendimento» della politica. Ma perché questa insofferenza obblighi i governi a porre mano a rimedi veri occorre che si accompagni a una diagnosi corretta su ciò che è in gioco. Il rischio è che tutto si risolva, come ci è congeniale, in invettive moralistiche alle quali la classe politica potrebbe far fronte con operazioni di cosmesi, senza aggredire i problemi sottostanti. Una diagnosi corretta deve assumere i costi abnormi della politica e la dissipazione del denaro pubblico come punte dell'iceberg, le manifestazioni più appariscenti di una patologia.
Che cosa è l'iceberg sommerso? E' lo Stato «predatore» o rentseeking, cacciatore di rendite, divoratore di capitali che trasforma in rendite politiche a fini di consenso. E' lo Stato che promuove un gigantesco spostamento di risorse dalle attività produttive a quelle improduttive. Questa incessante opera di trasferimento ha l'immediato vantaggio di dare stabilità al sistema attraverso i «pagamenti» a un immenso stuolo di clientes.Ma ha effetti catastrofici, nel lungo termine, per la società nel suo insieme. Lo Stato predatore, letteralmente, «si mangia» il futuro della società, ne compromette le possibilità di sviluppo, sottrae chance di vita alle generazioni future. Attraverso alta fiscalità, alta spesa pubblica e bassi tassi di sviluppo, consuma oggi risorse destinabili allo sviluppo domani. Si regge su coalizioni ridistributive che, essendo politicamente più forti delle coalizioni produttive, sono in grado di ottenerne il taglieggiamento.
Non è un fenomeno inedito. Nella storia umana gli Stati predatori sono sempre risultati molto più numerosi degli Stati favorevoli allo sviluppo. Solo in particolari condizioni si affermano meccanismi inibitori che tengono a bada gli istinti predatori dello Stato e lo costringono a virtuose politiche di sviluppo. In Italia, dopo la tumultuosa crescita del dopoguerra, si affermarono, a partire dagli anni Settanta, potenti coalizioni ridistributive a scapito di quelle produttive. Alla fine, la Repubblica, schiacciata sotto un immenso debito, «portò i libri in tribunale » all'inizio degli anni Novanta. Seguì un breve periodo di comportamenti relativamente virtuosi. Finita l'emergenza, le coalizioni ridistributive hanno ripreso forza. Anche quelle forme di «cooptazione collusiva», che sono la regola in Italia, e di cui ha parlato Alessandro Profumo nella intervista al Corriere del 4 agosto, sono una faccia dello Stato predatore, un effetto della sua esistenza. Gli italiani si scandalizzano per i privilegi dei politici e lo sperpero di denaro pubblico, ossia per le manifestazioni più visibili dell'azione dello Stato predatore, ma molti di loro sono colpevoli e complici.
Colpevoli, soprattutto, di avere accettato idee sbagliate la cui diffusione rende più facile la vita dello Stato predatore. La principale fra queste idee sbagliate è che possano esistere «pasti gratis», ossia che si possa consumare oggi una risorsa (per esempio, continuare amantenere in perdita l'Alitalia) senza sottrarla a qualcun altro e senza compromettere la possibilità di generare altre risorse domani. Non è una idea di sinistra o di destra, è solo una idea sbagliata che legittima le spese improduttive e blocca lo sviluppo.Nonè imputabile solo a certi settori sindacali o alla sinistra estrema. E’ presente in larghi strati della società. Ha probabilmente concorso alla sua diffusione una certa cultura cattolica. La Chiesa viene oggi accusata di tante colpe che, secondo me, non ha. Ma di una cosa, forse, è colpevole: di non avere mai promosso un’opera pedagogica di contrasto all’ideologia del pasto gratis (così diffusa in certi ambienti cattolici e, per loro tramite, nella società).
Però, se quel pregiudizio non viene sconfitto si può fare ben poco per tagliare le unghie allo Stato predatore. Il centrosinistra, come indica anche la crescita in atto della spesa pubblica, difficilmente può porre in essere rimedi, essendo l’ideologia del pasto gratis ben radicata in componenti decisive della coalizione. Difficile che esso riesca a «slegare il mercato» come auspicato in un bell’articolo di Luca Ricolfi (La Stampa, 5 agosto). Eil centrodestra? Quando si parla degli errori del centrodestra nei suoi anni di governo si ha l’impressione di scontrarsi con un muro di gomma. Ma i leader e le teste pensanti di quello schieramento qualche risposta seria dovrebbero infine darla. Come accadde che in cinque anni, e disponendo di una grande maggioranza, il centrodestra non fu in grado neppure di scalfire lo Stato predatore?
Eppure cinque anni sono tanti. In altri Paesi, governi di destra, nello stesso numero di anni, hanno tagliato drasticamente la spesa pubblica e ampliato al massimo le libertà economiche ponendo così le condizioni per un forte sviluppo. E queste non sono opinioni. Consideriamo, ad esempio, le comparazioni internazionali sul grado di libertà economica nei diversi Paesi. Esse misurano, indirettamente, il grado di successo delle politiche pro sviluppo dei governi e la forza o la debolezza dello Stato predatore. Nel 2006, dopo l’esperienza di centrodestra, l’Italia risultava ancora il fanalino di coda fra i Paesi del mondosviluppato (al sessantesimo posto della graduatoria, secondo l’Index of Economic Freedom del Wall Street Journal). I leader del centrodestra non pensano che per essere credibili come forza di governo dovrebbero spiegarci cosa intendano fare per portare l’Italia ai piani alti della classifica?