Intervista al ministro dei Lavori Pubblici - «Ma io lavoravo anche 24 ore al giorno. Come faccio anche adesso che sono in politica. C'è chi fa poco? Non bisogna generalizzare»
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ROMA — Ministro Antonio Di Pietro lei è andato in pensione a 45 anni. Era usurato?
«Ma no. E poi non ho mica smesso di lavorare. Forse lo faccio più di prima».
Un assegno vitalizio dello Stato a un quarantenne come lo racconta a un operaio?
«Mi rendo conto che ottenere una pensione in quel modo è una cosa assurda, ma era la legge di allora e non potevo certo rifiutare».
Il segretario della Uil, Sergio Angeletti, dice che molti magistrati lavorano poco. Conferma?
«Io lavoravo anche 24 ore di fila e continuo a farlo da politico. E come in tutti i mestieri non si può generalizzare. C'è chi lavora tantissimo e chi non fa nulla, in tutti gli uffici e in tutte le professioni. E la magistratura, come altre categorie, è anche lo specchio del Paese».
Che i magistrati non producano molto lo dicono le statistiche ufficiali.
«Che a loro volta non dicono nulla di significativo ».
Scusi?
«Poche sentenze? Pochi procedimenti chiusi? E' vero, ma per un eccesso di regolamenti, una selva di leggi e procedure burocratiche, meccanismi troppo farraginosi ».
Leggi e regolamenti che i magistrati spesso difendono.
«Guardi, il magistrato lavora anche quando non appare. Lavoro oscuro, anche stressante. E ogni tanto perde anche la vita per quello che fa».
Lavorano di più i pubblici ministeri o i giudici?
«Domanda non accolta. E' stupido distinguere, lo ripeto. Lavativi e grandi lavoratori ci sono in entrambi i settori».
Anche le statistiche del ministero della Giustizia distinguono, sono due mestieri diversi. Indagare e giudicare non sono la stessa cosa. «Io non ho mai trovato un momento di tempo libero. Ci sono dei macellai che usano il coltello per disossare la carne, altri per uccidere la moglie. E che significa? Che i macellai sono tutti per bene o tutti assassini? Non si può fare di tutta un'erba un fascio. Io ho trovato gente che lavorava tantissimo nelle procure come nei Tribunali, nelle Corti d'appello come in Cassazione».
E in Parlamento?
«La stessa cosa: deputati infaticabili e grandi fannulloni, come ovunque».
Una riforma delle pensioni che tenga conto anche dei mestieri più usuranti. Lei sarebbe d'accordo?
«Se la categoria definita usurante è oggettiva, dimostrata scientificamente, non avrei nulla in contrario».
A quali categorie pensa?
«Prendiamo il minatore, sta certamente molto peggio di lei o di me. Dopo 30 anni, o forse prima, forse avrebbe più diritto di altri al riposo».
Angeletti pensa anche alle maestre d'asilo, che si stressano per tenere a bada i bambini. E ai baristi, che si alzano presto la mattina.
«Le dico quello che penso io. Quello che pensa Angeletti mi interessa sino a un certo punto. E poi se allarghiamo troppo...».
Se allarghiamo troppo?
«Allora non la finiamo più. Allora anche il mestiere del rapinatore è molto usurante. Pensi che stress il lavoro dei recidivi: rapinare sempre la stessa farmacia, con il rischio di essere riconosciuti appena entrano nel locale!».
Capito, le maestre le lasciamo a scuola.
«E anche i baristi».
Ma oltre ai minatori?
«Pensiamo alle badanti dei portatori di handicap gravi, agli operai delle industrie pesanti, delle fonderie. Deve esserci un criterio obiettivo, scientifico: lavorare fuori orario, o in condizioni fisicamente molto pesanti. Se no entriamo nel campo dell'interpretazione ».
La politica usura?
«Sarebbe un'affermazione un tantino eccessiva ».
Una riforma delle pensioni che tenga conto anche dei lavori più faticosi?
«Assolutamente sì. La riforma è necessaria, così come aumentare il livello d'età. Ma bisogna fare una grossa selezione. Alcune differenze basate su mestieri particolarmente usuranti non devono diventare una finestra in cui si butta tutto dentro. Si rischia di aprire il lavoro delle lobby».
In Francia o in Germania minatori e operai vanno in pensione come e quando gli altri.
«E a me cosa importa? Questa cosa che l'Italia non possa fare da apripista mi sembra demenziale. Quello che va bene ai francesi o ai tedeschi non è detto che sia giusto». (Marco Galluzzo)