La norma inserita dal ministro delle Infrastrutture chiude un'epoca. L'allarme scattato dopo una relazione del presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti - Dal 2005 spese di 715 milioni e parcelle pari ai salari di mille agenti. La Finanziaria li vieterà
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ROMA — Settecentoquindicimilioniottocentoventiduemilasettecentotrentasette euro. Tutti questi soldi sarebbero bastati a fare il Passante di Mestre, avanzando pure qualcosa. Invece sono finiti, e soltanto negli ultimi due anni, a imprese appaltatrici di lavori pubblici che hanno vinto cause su «corsia preferenziale » contro le amministrazioni che glieli avevano affidati. Si chiamano «arbitrati».
Sempre che si possa definire «arbitrato» un procedimento dove perde sempre lo Stato. E questo nonostante il presidente del collegio arbitrale sia spesso un alto magistrato amministrativo o un ex funzionario pubblico.
Sapete in quante di queste cause la pubblica amministrazione non è risultata «soccombente» dall'inizio di luglio 2005 alla fine di giugno 2007? In appena 15. Quindici su 279. Vale a dire, lo Stato ha perso nel 94,6% dei casi. E ha dovuto pagare sia l'impresa sia quasi tutte le spese legali, parcelle degli arbitri compresi. Non proprio una bazzecola: nei due anni i compensi dei collegi arbitrali, che sono calcolati in percentuale del valore della controversia, hanno sfiorato 50 milioni. Esattamente, 49 milioni 223.466 euro: abbastanza per pagare due anni di stipendio a 1.065 poliziotti.
I numeri sono in una lettera che il presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, ha spedito qualche giorno prima che fosse definita la Finanziaria ad Antonio Di Pietro, il quale gli aveva chiesto un rapporto preciso. Sicuro di trovare nell'ex strettissimo collaboratore di Francesco Merloni una sponda decisiva per un progetto che il ministro delle Infrastrutture ha rivelato il 12 settembre: «Ho chiesto a Prodi di eliminare gli arbitrati».
Già nella sua prima relazione da presidente dell'autorità Giampaolino aveva segnalato l'abnormità di una faccenda dagli aspetti alquanto pelosi. Con la scusa che la giustizia civile non funziona, le controversie fra imprese private a pubbliche amministrazioni vengono affidate al giudizio di una terna di arbitri: uno ciascuno per le parti e il terzo scelto quasi sempre di comune accordo. Chi sono? Avvocati di studi legali specializzati che si contano sulle dita di una mano, avvocati dello Stato, giudici amministrativi e contabili, ma anche ex ministri e politici. All'inizio degli anni Novanta questo grande affare sembrava aver raggiunto l'apice. Grazie ai compensi degli incarichi extragiudiziali alti magistrati e grandi burocrati presentavano denunce dei redditi miliardarie. Un esempio: nel 1992 l'ex presidente del Tar Campania Francesco Brignola presentò un 740 da un miliardo 546 milioni di lire, di cui un miliardo 287 milioni (quasi un milione di euro di oggi) per arbitrati.
Evidente l'assurdità di magistrati pagati a parte dallo Stato, e profumatamente, per fare un lavoro per il quale ci sono altri giudici già stipendiati sempre dallo Stato. Si cercò di mettere un freno allo scandalo, ma senza grandi risultati. Per moralizzare gli arbitrati si arrivò a costituire una Camera arbitrale, attraverso cui dovevano passare tutte le decisioni sugli incarichi. Ma ben presto si trovò il modo per aggirarla nella sostanza. E sia pure in forma un po' diversa rispetto al passato gli arbitrati hanno ripreso a prosperare. Nel secondo semestre del 2005 lo Stato si era visto condannato a pagare 145,5 milioni. Un anno dopo le condanne erano salite a 157,5 milioni per semestre, con un aumento dell'8,2%. E nei primi sei mesi di quest'anno sono letteralmente esplose, raggiungendo 255,1 milioni: più 61,8%. Totale in due anni, 715.822.737 euro. In gran parte pagati dall'Anas e con relativo incremento per le parcelle degli arbitri.
Ecco perché un bel po' di persone devono aver masticato amaro leggendo l'articolo 86 della Finanziaria.
Qualcuno si è stropicciato gli occhi, tanto era impossibile da credere: «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di inserire clausole compromissorie in tutti i contratti aventi a oggetto lavori, forniture e servizi». Tradotto: gli arbitrati sono vietati. Come se non bastasse, il divieto è esteso anche alle società e agli enti pubblici. Non bastasse, il funzionario pubblico che firmasse un contratto contenente una «clausola compromissoria» sarebbe sottoposto a procedimento disciplinare e a una causa per danno erariale.
Una botta che farà rumore ai piani alti. Perché l'andazzo che coinvolgeva negli arbitrati personaggi eccellenti non si è mai interrotto. A nulla sono evidentemente servite le dimissioni di Franco Frattini dalla presidenza di un collegio arbitrale per la Tav quando era ministro della Funzione pubblica, dopo che il caso venne reso noto dal Corriere. Basta infatti scorrere gli elenchi degli arbitrati svolti a partire dal 2005 per trovare, nei collegi, nomi come quelli di Publio Fiori, all'epoca vicepresidente della Camera, impegnato come arbitro di due controversie che riguardavano l'Anas (una contro Astaldi e l'altra contro Asfalti Sintex): dove la società pubblica ha pagato 10 milioni e ai tre arbitri sono andati, solo per la prima causa, 310 mila euro.
Oppure quello di Sergio Scicchitano, avvocato ritenuto vicino a Di Pietro. Tanto vicino che quando il governo lo ha nominato nel consiglio di amministrazione dell'Anas, dal partito di Clemente Mastella è partito un siluro: «Come Silvio Berlusconi, che premiava i suoi avvocati, anche Di Pietro sceglie il suo avvocato per l'Anas». Proprio l'azienda al centro di una controversia per cui, appena un anno prima, Scicchitano era stato nominato arbitro. Compenso del collegio a tre: 300 mila euro.
Ma in un altro arbitrato Anas figurava, due anni fa, anche Ernesto Stajano, ex presidente della commissione Trasporti della Camera, oggi componente della «consulta giuridica» della società stradale con una retribuzione annuale di 70 mila euro. Anche in quel caso l'Anas è risultata soccombente. Come del resto nell'arbitrato (300 mila euro il compenso dei tre arbitri) dove c'era l'ex ministro della Funzione pubblica Angelo Piazza, oggi parlamentare Sdi.
E poi i magistrati. Il presidente del Tar Lazio Pasquale De Lise (causa Todini contro Anas), «decano » degli arbitri, che già nel 1992 aveva un 740 da un miliardo 93 milioni di lire «arrotondando» lo stipendio con gli incarichi extragiudiziali. Ma anche l'ex presidente della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, ora consigliere superiore della Banca d'Italia. L'ex presidente del Consiglio di Stato Mario Egidio Schinaia (impegnato in un mega arbitrato sempre relativo a lavori Anas, con mega compenso di 1,4 milioni per il collegio arbitrale). Perfino Mario Sancetta, capo dell'ufficio legislativo del ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, arbitro in un'altra causa contro l'Anas, società controllata dal suo ministero, che ha visto l'Anas soccombere con tanto di parcella di 423 mila euro per il collegio arbitrale. E poi l'ex procuratore generale della Corte dei Conti Emidio Di Giambattista, l'ex presidente del Consiglio di Stato Renato Laschena, i magistrati Luigi Carbone ed Ernesto Basile, l'ex presidente delle Poste Enzo Cardi.
Nel percorso parlamentare, inutile illudersi, non mancheranno le imboscate. Ma siccome tutti i risparmi saranno destinati al ministero della Giustizia, c'è da sperare che un risultato almeno sarà raggiunto: con Di Pietro e il suo collega Guardasigilli Mastella che per una volta tanto non si beccheranno come al solito.