“Verrà l’inverno del nostro scontento…”: bella vero? Passatemi la battuta cari amici, con l’ammissione che non è roba nostra ma esce dal tenebroso “Riccardo III” di Shakespeare.
Ma perché dovremmo essere scontenti dell’inverno che è alle porte? Semplice, perché siamo condotti male, o se volete, amministrati male. Dove? Dall’alto, dal basso, da destra, da sinistra, il malgoverno è democraticamente trasversale e fa cartello, è un’attività autoreferente, chi vi è impegnato sa benissimo di appartenere ad una razza speciale come i gesuiti o gli astronauti e di conseguenza risponde solo a logiche interne al sistema. E ce li teniamo così come sono. Ma qualcosa, o qualcuno si sta muovendo: con un che di clamoroso, alcune settimane fa è sceso in piazza, prima a Bologna e poi facendo tappa proprio qui ad Este Beppe Grillo con il suo verbo “Reset” che fa spettacolo, come qualunque cosa che avvince, ma non è uno spettacolo.
Forte di un blog in rete fra i più visitati d’Europa, Grillo, dopo anni di lamentele contro i potenti, dopo i teatri (niente televisione, fu esiliato dalla RAI per le sue battute al vetriolo sui socialisti e non lo volle neanche la TV commerciale) e dopo gli spettacoli in piazza a denunciare scandali, ha scelto la piazza politica, o meglio dell’antipolitica. L’assunto è semplice: la politica nuoce ai cittadini e questi se ne devono riappropriare. Come dargli torto? Basterebbe ricordare che quattro o cinque regioni d’Italia sono completamente assoggettate alle mafie, situazione che nessun governo dall’Ottocento in poi è mai riuscito non dico a ribaltare, ma almeno rendere meno cruda nonostante parziali vittorie dello Stato.
Grillo spara a palle incatenate sulle storture e le mostruosità di un Paese grande, moderno e progredito, che si vorrebbe perfino democratico ma i cui abitanti oscillano fra l’imbolsimento, la rassegnazione e un oscuro male di vivere. E allora giù “grillate”. Ma già prima del Vaffa-day, gli addetti ai lavori dall’altra parte si sono aggrappati a due etichette che hanno tentato di cucire frettolosamente sulla schiena di Grillo, qualunquista e comico, comico qualunquista per liquidare il problema e per privarlo di credibilità.
Pennivendoli di scarso talento e politici fegatosi non lo hanno perdonato neanche questa volta, facendo finta di non vedere le piazze gremite dalla nausea popolare. Qualunquista? Ma Grillo parla solo di cose sulle quali è documentatissimo (ad Este, i cementifici) e non necessariamente i bond argentini o le tariffe telefoniche. Non è qualunquismo quello del linguaggio politichese che estenua con promesse mai mantenute e rimane per lo più incomprensibile?
Comico? Ma Grillo ha smesso da un pezzo di far ridere, i suoi attacchi sono serissimi e se vogliamo concedere qualcosa al palcoscenico, bé sì, i suoi paradossi e le sue iperboli fanno sogghignare, ma giusto per non piangere; un comico dovrebbe far divertire cioè secondo etimo, far andare di qua e di là, a spasso, magari fra le nuvole. Grillo tiene i piedi per terra e conduce chi lo segue nel dedalo di vicoli bui in cui ogni onore si è perso, dove accade di tutto, dove il potere si accoppia nei modi più imbarazzanti, senza pudore, dove malgoverno fa rima con malaffare.
Anche se non pare (eccola, la rima).
Comico, dite?
(da Celeste, ottobre 2007)