Niente imposte secondo le leggi regionali. Oggi decide la Consulta
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La legge è uguale per tutti, tranne i siciliani? La domanda, stucchevole e annosa, torna oggi davanti alla Corte Costituzionale. Che deve dire se la Regione fino a ieri governata da Totò Cuffaro abbia o no diritto ad abolire per i propri cittadini (meglio: i propri elettori) questa o quella tassa. In ballo, stavolta, sono gli sconti concessi in tutta Italia ai piccoli contadini sulla vendita di terreni agricoli. Estesi nell'isola a tutti. Miliardari compresi.
La legge in questione fu varata in favore dei contadini nel 1954, quando era ancora vivo il mitico Matisse e Ardito Desio conquistava il K2, e stabilisce che per favorire i piccoli agricoltori che tentino di allargare il loro podere, la compravendita dei campi viene tassata solo per un decimo dell'imposta di registro fissata al 15%. Vale a dire che, se sono piccoli e se fanno sul serio i contadini, pagano allo Stato l'uno e mezzo per cento del valore. Tutti gli altri, avvocati e giornalisti, commercianti e idraulici, se comprano un terreno agricolo, devono pagare il 15%. Chiaro? Non in Sicilia. Dove l'Ars vara nel 2002 una leggina che «al fine di favorire la ricomposizione fondiaria, aumentare le economie di scala e ottimizzare il ritorno degli investimenti nel settore agricolo» (sic) dice che «chiunque» compri dei campi di frumento o un pascolo ha diritto al maxi-sconto sull'imposta di registro e in più gli atti sono «esenti dalle imposte di bollo e catastale».
Rileggiamo la parola chiave: «chiunque ». Non solo i contadini: tutti. L'anno dopo, una nuova leggina precisa che alle agevolazioni concesse l'anno prima va riconosciuta «la natura di misura fiscale di carattere generale rivolta a chiunque ponga in essere, a partire dal 1˚ gennaio 2002 e fino alla data del 31 dicembre 2006, gli atti indicati nello stesso articolo ». «E no!», salta su l'Agenzia delle Entrate. E contesta il regalo ai siciliani ricordando che per dare lo sconto è indispensabile che l'acquirente sia un contadino e il terreno trasferito abbia una effettiva destinazione agricola. Sennò ci sarebbe un'ingiustificabile differenza di trattamento fiscale tra siciliani e italiani su una cosa che non c'entra un fico secco con l'autonomia. «Come vi permettete?», si ribellano i siciliani. E in nome dei Vespri e di Federico II fanno ricorso alla Corte Costituzionale sostenendo che l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate è «lesiva della potestà legislativa regionale».
E nel 2005 varano una nuova legge confermando punto per punto che le agevolazioni «si applicano per tutti gli atti traslativi da chiunque posti in essere» («chiunque») «alla sola condizione che abbiano ad oggetto terreni agricoli». E lo Stato stia alla larga dalle sue interferenze: «La presente disposizione costituisce interpretazione autentica dell'articolo 60 della legge regionale 26 marzo 2002». Nel resto d'Italia si paga? In Sicilia no. Neanche se un miliardario aeronautico compra un podere agricolo da un miliardario dell'acciaio. Non bastasse, il regalone viene esteso a tutti i contratti di compravendita fino alla fine del 2011. Cosa dirà la Corte Costituzionale? La decisione sarà presa oggi. I giudici della Consulta, in verità, hanno già ribadito spesso un punto.
E cioè che la Regione «è tenuta a osservare i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato» e ciò «comporta che la legge regionale debba adeguarsi alla tipologia adottata, per ogni singolo tributo, dalla legge statale ». Nel palermitano Palazzo dei Normanni, però, non vogliono sentire ragioni. E in questi ultimi anni hanno vissuto come un'offesa all'onore stesso del Parlamento e del Governo isolani tutte le decisioni del Commissario dello Stato di bloccare questo o quel decreto, questa o quella norma. Il che è successo un'infinità di volte. Come nel caso delle undici leggine clientelari varate nel 1996 esattamente durante l'ultima notte della legislatura per assumere centinaia di elettori che al voto sarebbero stati riconoscenti. O della scelta dell'ottobre 2002 di estendere le pensioni-baby dei «regionali» (i quali sette anni dopo la riforma Dini potevano ancora andare a riposo con 25 anni di servizio) a tutti i dipendenti dei 97 enti vigilati dalla Regione. Un braccio di ferro continuo. Di qua quelli che varavano 300 assunzioni nei beni culturali più una raffica di promozioni d'ufficio più la stabilizzazione di precari nelle aziende sanitarie, di là il Commissario che metteva il veto. Di qua la decisione di autorizzare nuovi alberghi alle Eolie e l'edificabilità di ville sul verde agricolo e il mantenimento delle licenze anche agli imprenditori che non pagavano le tasse di concessione, di là il veto. Ha stoppato di tutto, in questi anni, il rappresentante dello Stato.
La creazione dell'Albo degli Ammini-stratori di condominio e dell'Albo dei tecnici della riabilitazione equestre. La stabilizzazione di tutti gli addetti stampa e tutti i musicisti dell'Orchestra sinfonica siciliana. L'assunzione di «600 medici della medicina dei servizi» a fronte di «circa 100 posti vacanti nelle piante organiche ». La sanatoria degli immobili costruiti sul demanio. L'istituzione del «deputato supplente» da inserire e stipendiare provvisoriamente al posto di chi faceva l'assessore. L'estensione dei privilegi pensionistici dei «regionali» ai 70 mila dipendenti della Asl, delle province e dei comuni perché, come spiegava il relatore della legge Armando Aulicino, «era giusto non creare disparità». No, no, no, diceva il Commissario. E ogni volta i politici dominanti, compreso quel Gianfranco Miccichè che oggi accusa Cuffaro (nella foto) d'aver costruito «un sistema clientelare che ha bloccato la Regione, ha trasformato il lavoro da diritto a favore e fa fuggire le imprese del Nord», s'impennavano: come si permette, il rappresentante del governo? Il giorno che se ne andò Gianfranco Romagnoli spiegò che dopo otto anni passati a fare il Commissario e a vagliare le leggi dell'Ars gli era «venuta voglia di buttare via i libri di diritto ». E quando Emanuele Lauria gli chiese quale fosse il principale difetto del legislatore siciliano rispose: «Una certa tendenza a concedere benefici con i portafogli degli altri». (Gian Antonio Stella)