ROMA - Temeva di essere intercettato il faccendiere Rodolfo Grancini, l' uomo che secondo la Procura di Palermo pilotava i processi in Cassazione per conto dei boss mafiosi, considerato il crocevia del patto tra massoni ed esponenti di Cosa Nostra emerso dall' indagine siciliana. Lui che si muoveva spesso tra Roma e la Sicilia, teneva gli incontri più riservati in un luogo sicuro: le sacrestie di Sant' Ignazio di Loyola, la chiesa-madre dei gesuiti romani. Lì riceveva e parlava, al riparo da eventuali microspie. Anche per conto (e forse con) il senatore di Forza Italia Marcello Dell' Utri (foto). Col quale ostentava grande amicizia. I carabinieri li hanno visti insieme, anche con altre persone, in un bar del centro e altrove. Ma la rivelazione sugli incontri nelle stanze secentesche di Sant' Ignazio l' ha fatta lui stesso, parlando al telefono con l' agente di polizia sua amica Francesca Surdo (pure arrestata nell' indagine palermitana), mentre gli investigatori registravano.
«Mercoledì vedo Marcellino, alle 10 al Senato», dice Grancini alla poliziotta in un colloquio del 3 luglio 2006, agli atti dell' inchiesta. «Tornava questa sera o domani - continua - perché stiamo mettendo su gli uffici bellissimi al Tritone, dove c' è il Messaggero, e ci va a lavorare mio figlio». Subito dopo arriva la sorpresa per chi ascolta: «Lì da lui ci vedo generali, colonnelli dei carabinieri, mi sono venuti a parlare dentro la chiesa, due, un colonnello di Asti, uno di Prato, un altro del ministero di Grazia e Giustizia, per parlare con lui». «Con lui chi?» , chiede l' agente. «Con Marcello - risponde il faccendiere -. E io li ricevo nelle sacrestie della Chiesa... Dove non ci sono microspie lì, hai capito?», e ride. Poi di seguito: «Oppure li porto sopra, nelle stanze segrete».
Grancini fa il nome di un colonnello che voleva scendere in politica, con l' Udc, «però non è stato eletto. Perché per essere eletto ci vogliono un sacco di soldi, perché non ti devi fidare degli amici, hai capito? Ti devi fidare dei nemici, che si comprano e diventano fedeli... E' la politica, è una cosa sporca, è tutto un ricatto, un dare avere, non c' è niente di pulito...».
La chiesa di Sant' Ignazio è quella retta dal gesuita settantanovenne Ferruccio Romanin, che si ritrova indagato per concorso esterno in associazione mafiosa dopo aver scritto, su indicazione del faccendiere, lettere di raccomandazione in favore di alcuni detenuti tra cui il figlio del boss trapanese Mariano Agate, condannato a 18 anni di carcere per traffico di droga. Nel 2004 il superiore di padre Romanin aveva pregato Grancini di non frequentare più la chiesa (e la sacrestia). Senza troppo successo, evidentemente, se le lettere sono di due anni dopo, così come la conversazione sugli incontri a Sant' Ignazio.
In un' altra telefonata del 2006, a ottobre, Grancini e la Surdo «commentano soddisfatti» l' assoluzione del senatore Dell' Utri (già condannato in primo grado a 9 anni di pena nel processo per mafia) in un altro dibattimento palermitano dov' era accusato di calunnia aggravata. Mentre nella telefonata del 3 luglio, quando la poliziotta rivela al faccendiere di aver saputo che anche sul suo conto pendeva un processo «per una storia di assegni», il faccendiere ribatte: «Ah! Ma quello perché ho coperto Marcello». Secondo i carabinieri che ascoltano, «anche in ragione delle ulteriori risultanze investigative, il "Marcello" per conto del quale il Grancini stava asseritamente subendo il processo si identificava nel senatore Marcello Dell' Utri».
Nel carcere di Rebibbia, ieri, Grancini e la Surdo - accusati di concorso in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari e altri reati - hanno preferito non rispondere al giudice che li ha fatti arrestare, rinviando la loro versione dei fatti a un altro momento. (Bianconi Giovanni)