Trapelano i verbali dell'interrogatorio in qualità di teste in procura a Milano - "Mi parlò del Oak Fund, ma non ci interessava, gli dissi che erano chiacchiere" -
Secondo il manager l'ex capo della security Telecom "cercava di usarmi"
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MILANO - Pezzo a pezzo, stralcio a stralcio, trapelano dagli atti giudiziari depositati a chiusura dell'inchiesta dai magistrati di Milano sui dossieri illeciti le deposizioni rese davanti ai magistrati dai principali protagonisti. Tra questi anche quella resa in veste di testimone dall'ex presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera.
In procura il 27 giugno. Ascoltato dal pubblico ministero Fabio Napoleone lo scorso 27 giugno, Tronchetti Provera ha voluto mettere in chiaro innanzitutto di non essere lui il referente di Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security Telecom e Pirelli accusato di essere l'organizzatore materiale dello spionaggio illecito e sistematico ai danni di migliaia di persone.
La gerarchia. "Le linee - precisa l'ex manager Telecom al pm - erano sempre...Prima dipendeva dal dottor Castagna: quando il dottor Castagna ha lasciato l'incarico, il signor Tavaroli ha iniziato a dipendere direttamente dal dottor Buora; non è mai stato un mio riporto diretto".
"Tavaroli riferiva a Buora". Tronchetti fa quindi riferimento ai tempi in cui Tavaroli lavorava alla Pirelli. "Vi era comunque un riporto in casi imprevisti, per casi particolari?", chiede il pm e Tronchetti risponde: "Solo se vi era un...in casi specifici, se era una cosa di importanza generale dell'azienda che mi riguardava direttamente come presidente della società, il signor Tavaroli si rivolgeva direttamente a me; generalmente con il dottor Buora, poi in seguito con...prima con il dottor Buora e il dottor Lamacchia e in seguito con il dottor Buora e l'avvocato Chiappetta".
"Ci fidavamo di lui". Tronchetti racconta poi che Tavaroli fu preso in Telecom perché nella società accadevano "cose strane" e in lui "c'era fiducia". "La decisione di affidare in Telecom la direzione della security a Tavaroli è una decisione sua?" chiede il magistrato a Tronchetti Provera, sentito come testimone. "E' una decisione nostra - risponde Tronchetti - nel senso che la riflessione fu questa: coi pasticci che ci sono stati dentro Telecom, visto che Gallo Modena lascia, abbiamo una persona che per fortuna viene da un mondo diverso, dall'esterno, quindi portando Tavaroli non abbiamo il rischio che ci siano commistioni con un passato poco chiaro, perché questa era l'epoca, quello su cui noi avevamo visibilità, che in Telecom succedevano cose strane, erano successe cose strane".
Tronchetti riferisce ancora che "Tavaroli in Pirelli aveva, a detta di tutti, fatto bene, si era occupato delle affiliate estere quindi non aveva, diciamo, un trascorso di rapporti con ambienti (...) che potessero rappresentare fonte di inquinamento, di confusione tra quello che era il ruolo di una struttura aziendale e vicende che non riguardavano l'azienda. Quindi c'era fiducia in Tavaroli".
Il conto Quercia a Londra. L'ex presidente Telecom al magistrato racconta anche la sua versione sul presunto interessamento dell'azienda a scoprire l'esistenza di presunti conti esteri riconducibili ai dirigenti dell'allora Ds. Stando ad indiscrezioni non confermate (e anzi smentite decisamente dagli interessati) la rete di Tavaroli avrebbe scoperto l'esistenza a Londra di un presunto Oak Fund, ovvero un "conto quercia". "Non avevo nessun interesse ad avere informazioni" su questo, ha spiegato invece Tronchetti a Napoleone, aggiungendo che quando Tavaroli gliene riferì, liquidò la vicenda come "chiacchiere da bar di Roma".
"Gli ho detto di lasciar perdere". Tronchetti Provera racconta che Tavaroli gli disse esplicitamente che Oak Fund si riferiva ad un partito. "Non mi disse - prosegue nella ricostruzione al pm - che aveva della documentazione, come al solito. Cioè lui ogni tanto entrava nel mio ufficio, faceva dei discorsi come dire 'io tutelo l'azienda'. Gli dico 'guardi, sono le chiacchiere da bar di Roma', questo era l'atteggiamento. Succedeva una volta ogni 4-5 mesi che si piazzava nella mia segretaria, poi entrava, stava pochissimi minuti dicendo 'certi ambienti sono contro', insomma cose di questo genere. Gli dico 'guardi, lasci perdere', ma erano cose rapidissime, proprio flash senza mai un seguito, senza un foglio di carta, senza niente".
"Tavaroli mi ha usato molto". Tronchetti fornisce infine al magistrato la sua interpretazione del comportamento di Tavaroli. "Quello di cui mi sono convinto ex post - spiega - è che lui (Giuliano Tavaroli, ndr) mi ha usato molto". Per l'ex presidente di Telecom molti degli appuntamenti organizzati, in particolare con personalità politiche, da Tavaroli, servivano a quest'ultimo per accreditare se stesso.
Non avevo bisogno della sua mediazione. "Queste cose che lui faceva - si legge ancora nel verbale dell'interrogatorio - cioè il pranzo con D'Alema piuttosto che questa cosa (un incontro, ndr) con Brancher-Bossi erano dei metodi suoi per accreditare se stesso. Questa è la mia visione di oggi, perché erano tutte cose che potevo fare con la mia segretaria e nessuno avrebbe rifiutato di incontrarmi. Come presidente di Pirelli e presidente di Telecom - sottolinea ancora Tronchetti Provera - se chiamavo Bossi lo incontravo, non era questo il tema".
L'azienda non c'entra. Per l'ex presidente di Telecom, "quel mondo che io considero la zona grigia che speravo fosse esterna a Telecom e invece ha lambito Telecom, spero poco perché spero che si sia soltanto concentrata su poche persone in Pirelli e in Telecom, quei metodi di lavoro - prosegue Tronchetti - non aveva niente a che vedere con quelli che erano i canali del gruppo (...) Tutto questo è un mondo davvero estraneo, esterno, di non interesse, proprio interesse zero per l'azienda". "Questo modo di agire - insiste l'ex presidente di Telecom - non ha avuto nessuna influenza né diretta né indiretta" sulla gestione dell'azienda, "sui rapporti istituzionali (...)
Questa è l'anomalia di tutte queste cose"
"Tutti ne parlavano bene". "La cosa che mi ha sorpreso - aggiunge Tronchetti quasi a giustificarsi - è che né a livello istituzionale, né a livello aziendale ho mai avuto una segnalazione negativa sull'operato di Tavaroli e della security, anzi, ho sempre avuto segnalazioni positive".
La vicenda Sayf Gheddafi. L'ex presidente Telecom racconta anche di qualche tensione avuta con l'allora capo della security aziendale quando questi gli segnalò che esistevano una serie di "criticità" sulle presunte "frequentazioni pericolose di uno dei fratelli di Afef (la moglie di Tronchetti, ndr) nell'entourage di Sayf Gheddafi". "Fu una delle volte - spiega - in cui lo mandai un po'... diciamo di non occuparsi di cose che non lo riguardavano, perché Sayf Gheddafi era amico da sempre del fratello di Afef, avevano studiato insieme a Vienna, il padre era stato ambasciatore in Libia e aveva mantenuto il mandato dal presidente tunisino di tenere rapporti con la Libia, quindi era normale che lui frequentasse Sayf Gheddafi" figlio del presidente libico.
All'oscuro del Tiger Team. Tronchetti davanti al pm Napoleone nega anche di aver mai saputo dell'attività del cosiddetto "Tiger Team", la squadra di informatici che, secondo la ricostruzione della procura di Milano, lavorava all'interno di Telecom e avrebbe attaccato i computer, tra gli altri, di Rcs, Vodafone e dell'Autorità garante per le comunicazioni. "Era non solo cosa non nota - si è difeso il testimone - ma era neanche immaginabile all'interno dell'azienda".
Mai ordinato controlli su Moggi. Allo stesso modo Tronchetti Provera nega anche di aver mai chiesto a Tavaroli di controllare le attività dell'ex direttore generale della Juve Luciano Moggi. "Non ha mai avuto nessuna indicazione, né da me né da Moratti penso, assolutamente - afferma nel verbale d'interrogatorio - di occuparsi della società di Moggi, ma neanche da Facchetti penso che abbia avuto indicazione di occuparsi della società di Moggi". Gli unici accertamenti chiesti nell'interesse dell'Inter, chiarisce Tronchetti al pm, erano legittimi e riguardavano alcuni calciatori visti "nei locali con persone strane". Ma, precisa subito dopo il manager, "Moratti mi disse che altri riuscivano a fare controlli migliori" e "mi sono fermato".