Ci siamo. Tra pochi giorni eleggeremo il nuovo Parlamento Italiano. Una campagna elettorale surriscaldata come non mai e dall’esito incerto, si sviluppa a suon di coup de théâtre a chi la spara più grossa tra ridurre le tasse, tagliare gli sprechi, eliminare i costi della politica, prospettare un futuro roseo ai giovani, creare un lavoro sicuro ai disoccupati, garantire un welfare di qualità agli ammalati e agli anziani. Ma che Parlamento avremo? Quale sarà la qualità e l’affidabilità della prossima classe politica? Lo vedremo. Una cosa certa è che, in questi ultimi vent’anni, la coerenza tra le promesse elettorali e quanto poi, una volta eletti, si è realizzato ha lasciato molto a desiderare.
E’ di poche settimana fa la pubblicazione sul sito di Montecitorio del documento relativo alle spese 2012 per lavori, servizi, forniture, consulenze e collaborazioni della Camera dei Deputati. Dopo i recenti scandali per spreco di denaro pubblico che hanno riguardato i consiglieri regionali e che hanno travolto la Regione Lazio e la Regione Lombardia, spulciando il documento del Parlamento si notano voci ed importi che fanno rizzare i capelli. Nel 2012 la Camera dei Deputati ha speso 124 milioni di euro di denaro pubblico, di cui 22mila euro in dolciumi, 107mila in caffè, 16.800 in macelleria, 8.388 euro per arance fresche, corsi di lingue straniere e di informatica per 500mila euro, bandiere e stendardi per 10.531 euro, cancelleria per 665mila euro, toner per le stampanti per 398mila euro, computer per 1,2 milioni, 666mila euro per la loro manutenzione, quasi 10milioni di euro per il software.
Certo si dirà, non sono cifre folli. Ma di fronte ad un Paese che soffre, che ormai sta scivolando sul piano inclinato della povertà, la vera questione per noi cittadini attivi non è “quanto” denaro pubblico la classe politica spenda ma “perché” lo spenda. Cioccolatini, caramelle e bon bon sono così indispensabili per governare il Paese? Non sono sufficienti le più che generose indennità, diarie, rimborsi spese e altro ancora, riconosciuti ad ogni parlamentare e pari ad un valore compreso tra i 12mila e i 15mila euro per pagare queste spese definiamole “accessorie”? No, pare di no!
E tutto ciò accade - e la cosa ha dell’incredibile - in un’Italia dove, come si legge in una recente indagine Istat, nel 2011 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salito per il 4° anno consecutivo, toccando il 29,1%, ben al di sopra della media europea (21,4%), il numero dei non lavoratori tra i 15 e 64 anni (tasso di inattività) è cresciuto al 37,8% portando il Belpaese al penultimo posto tra quelli Ue, peggio di noi solo Malta, il livello di povertà ha raggiunto il considerevole valore di 8,2 milioni di indigenti in una crescente insicurezza che vede in aumento omicidi, furti e rapine.
A tutto ciò si aggiunge quanto “Rete Imprese”, l’organismo di rappresentanza della media e piccola imprenditoria, rende noto e cioè che il reddito degli italiani è sceso a meno di 17mila euro contro i 19.500 del 2007, anno di inizio della crisi, tornando così ai livelli di 27 anni fa, che nei primi nove mesi del 2012 hanno chiuso i battenti oltre 216mila imprese artigiane e dei servizi di mercato con un saldo tra mortalità e natalità stimato in circa 100mila imprese in meno, che la pressione fiscale effettiva è in continua salita, ormai arrivata allo strepitoso valore del 55,2 % (da non confondersi col 46,3% della pressione fiscale apparente, quella cioè data dal rapporto tra il gettito fiscale ed il Pil) con una prospettiva di crescita stimata per il 2013 pari al 56,1%. Una visione drammatica del Paese che forse sfugge ad una gran parte della classe politica che sembra distratta e votata solo alla salvaguardia dei propri interessi.
Onorevole, gradisce un “bon bon”? No, spiacente, purtroppo sono rimasti solo quelli al cioccolato amaro, anzi amarissimo!