A Barletta, recentemente, è crollata una palazzina di tre piani. L'edificio ospitava una maglieria in cui erano al lavoro alcune operaie. Era notte fonda quando i vigili del fuoco hanno scoperto l' ultima delle cinque vittime di un edificio di due piani lasciato da anni senza sostegno, dopo il crollo del palazzo attiguo ancora in demolizione. Una delle vittime, la figlia dei titolari, aveva solo 14 anni. Erano lavoratrici irregolari, come si dice: “in nero”.
Un fenomeno, il lavoro sommerso, che ha profonde radici nel sud del Paese, una piaga sociale che, come associazione, condanniamo con fermezza. Un fenomeno che trova riscontro nelle recenti affermazioni del leader della Lega, Umberto Bossi, che difende a spada tratta le pensioni, specie quelle di anzianità: «… io - ha voluto ricordare Bossi - sono sempre contrario a far pagare dieci volte chi ha già pagato». Sa bene il cultore del dito medio che gran parte delle pensioni di anzianità sono pagate al nord del Paese, la zona dove più bassa è la percentuale del lavoro nero. In Italia l’esercito dei lavoratori in nero (sono quasi tre milioni) e “produce” quasi cento miliardi di PIL pari al 6,5% del PIL nazionale, generando un’evasione fiscale e contributiva annua pari a 43 miliardi di euro, una cifra enorme, oltre 700 euro di evasione pro-capite.
Una recente indagine prodotta dalla CGIA ha fotografato, nel dettaglio, la situazione. Dallo studio emerge che la Calabria è la regione più a rischio con un’incidenza percentuale del valore aggiunto da sommerso sul Pil regionale pari al 18,3% ed un’imposta evasa, per ogni residente, pari a circa 1.333 euro. Al secondo posto si posiziona la Basilicata (14,6% di incidenza sul Pil regionale e 1.172 euro di imposte evase pro-capite), mentre al terzo si piazza il Molise (12,6% e 1.097 euro). Contrariamente a quanto si può pensare, le regioni del nord occupano tutte la seconda parte della classifica (dalla decima posizione in poi), come, ad esempio, il Piemonte (5,7% e 669 euro), il Veneto (5,0% e 626 euro), mentre la Lombardia occupa addirittura l’ultimo posto con un 4,5% di incidenza del lavoro nero sul Pil regionale e 619 euro di imposte evase pro-capite.
La stessa Agenzia delle Entrate ha recentemente realizzato una radiografia dell’evasione fiscale in Italia che, in sintesi, conferma il fenomeno. Osservando i risultati si scopre che si va da un tasso di evasione minima in media del 10,93% per il gruppo delle province dei grandi centri produttivi – Milano, Torino, Genova, Roma, Lecco, Cremona e Brescia – ad un massimo del 65,67% per il gruppo formato dalle province di Caserta, Salerno, Cosenza, Reggio Calabria e Messina. Appena sotto, con un tasso d’evasione pari al 64,47%, ci sono le altre province del sud ad eccezione di Bari, Napoli e Palermo dove la percentuale è mediamente inferiore (38,19%). Tra i “virtuosi”, con un tasso d’evasione del 20,31%, troviamo molte province del nord-est e dell’Emilia Romagna. E’ opportuno però precisare che una cosa è il tasso percentuale che fotografa la propensione collettiva all’evasione, e una cosa sono i valori assoluti della stessa. Quest’ultimi, essendo funzione del Pil regionale, sono più elevati nelle zone più ricche del Paese anche se il tasso d’infedeltà fiscale qui appare più basso delle altre regioni.
E’ indubbio che in momenti di grave crisi quali quello che sta attraversando il nostro Paese, il sommerso, particolarmente sud, diventa un vero e proprio ammortizzatore sociale. E’ però indubbio che il lavoro nero spesso si accompagna a forme inaccettabili di sfruttamento, precarietà e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro, come la tragedia di Barletta testimonia. Se poi ricordiamo che al sud, rispetto al resto d’Italia, esistono quasi la metà delle pensioni di invalidità (913.584 su 2.137.078) e che è stato speso solo il 9,6% dei circa 44 miliardi di euro di fondi europei (compreso il cofinanziamento) destinati proprio al suo sviluppo, non possiamo non pensare che sono gli stessi amici del sud ad essere le prime vittime di un malcostume generalizzato, di una connivenza con la criminalità organizzata, di un clientelismo finalizzato al consenso elettorale che una casta politica meridionale – non tutta – coltiva, da molto tempo, quale forma di ricatto elettorale. Auspichiamo perciò un ricambio di questa classe politica che calpesta valori quali l’etica e la legalità e che elezioni come, ad esempio, quella di Vendola, in Puglia, e De Magistris, a Napoli, fanno invece ben sperare.