È polemica sulla decisione della regione Veneto di garantire l’accesso gratuito alla fecondazione assistita alle donne fino ai 50 anni e agli uomini di 65 anni. La novità è proprio l'innalzamento dell'età limite per le donne, in un primo tempo indicata fino a 43 anni. Pur tenendo contro delle ragioni scientifiche - che parlano di un drastico calo delle possibilità di successo dopo i 43-44 anni – l’assessore veneto alla sanità ha sottolineato le ragioni umane che tengono conto dell'aumento delle aspettative di vita e di conseguenza del fatto che l'aspirazione alla maternità è forte nelle donne anche in età più avanzata rispetto ai 42-43 anni.
Come associazione condividiamo invece le perplessità che tutto il mondo medico, a partire dal comitato tecnico, ha espresso sulla materia: «In Italia non si registrano parti di donne sopra i 43 anni sottoposte a procreazione assistita. Ricorrere a tale tecnica per una cinquantenne significa ingolfare le liste d’attesa e sprecare soldi, che vengono sottratti a pazienti trentenni con tutte le carte in regola per diventare mamme» e ancora «non è condivisibile un limite d’età così avanzato perché aumentano i rischi di parto prematuro, di morte del feto e di eventi avversi per la gestante, che può incorrere in problemi cardiopolmonari, renali, di ipertensione e coagulazione».
Pur comprendendo umanamente le speranze di chi si avvale di queste opportunità, ci lascia molto perplessi il pensare ad una mamma sessantenne che accompagna per la prima volta il figlio a scuola e il sapere che solo il 19% dei trattamenti praticati dopo i 42 anni si conclude con successo diventando così il restante 81% uno spreco di denaro pubblico. Perché invece non destinare queste risorse alla natalità giovanile? Forte è il sospetto che la delibera regionale possa favorire le categorie più abbienti abituate a frequentare – per questo genere di cose - le cliniche private. Ora infatti potranno risparmiare molti denari perché potranno contare sul contributo pubblico.