Il “quorum” alla recente tornata referendaria è stato raggiunto, i sì hanno vinto, quattro su quattro. Dopo 24 anni di mancato raggiungimento del quorum, questa volta è stato non solo raggiunto, ma ampiamente superato in tutto il Paese. Addirittura, nel Veneto, regione a trazione leghista, l’affluenza alle urne è arrivata al 59%, ben 2 punti sopra la media nazionale del 57% che, vista la storia degli ultimi anni, rappresenta un successo. Non dimentichiamoci che per il referendum del 2009, che discettava su premi di maggioranza e candidature multiple, si disturbò meno del 30% degli elettori. Eppure il “Senatur” aveva chiaramente “invitato” i suoi a disertare il voto, mentre il “Cavaliere” aveva consigliato la famosa gita “fuori porta” di craxiana memoria.
Niente da fare. Gli italiani, una volta di più, dimostrano di avere una testa pensante e di voler decidere autonomamente quando votare e cosa votare. Eh sì, perché sono trascorse solo poche settimane dalle elezioni amministrative dove, invece, la spontanea astensione aveva raggiunto, in alcune importanti città, percentuali vicine al 50% e addirittura la maggioranza (55%) alle provinciali, in questo dimostrando chiaramente quanto ampia sia la disaffezione verso il sistema dei partiti, quanto questo sistema sia lontano dalla gente e distante dai suoi elettori, quanto il principio della rappresentanza politica oggi sia in crisi, quanto l’elettore non vuole subire le scelte di partito, quale che sia il partito. C’è un cordone ombelicale che lega il voto amministrativo ed il referendum: il ritiro della delega.
«Siamo stufi di prendere sberle. I cittadini – si affretta a dichiarare a Radio 24 il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi - si sono stufati di sentire parlare di toghe rosse, bunga bunga e questioni che alla fine non sono nell’interesse collettivo». Ma va? «Da un punto di vista formale è stato un voto referendario - ha continuato - ma una parte di elettori, lo dico per esperienza diretta, è andata a votare contro Berlusconi. Qualcuno andava a votare solo per quello». Certo sarà anche così, come sentenzia il sindaco Tosi, ma l’ampia affluenza al voto, oltre ventiquattro milioni di italiani, dimostra che al voto non ha partecipato solo l’opposizione ma anche buona parte del corpo elettorale del centrodestra: ha votato più del 20% dell’elettorato potenziale del Pdl e addirittura il 50% di quello della Lega, in questo nonostante le indicazioni delle stesse forze politiche che sostengono. Il centrodestra alle elezioni amministrative ha perso per la diserzione di tanti suoi elettori che si erano astenuti, oggi al referendum ha perso per la partecipazione di milioni dei suoi elettori al voto. Ma allora, se seguiamo il ragionamento del sindaco leghista, siamo al regicidio? Il premier sconfessato dai suoi stessi elettori? Siamo al tramonto di una stagione politica di riforme sempre annunciate ma mai attuate? L’appello scritto a caratteri cubitali, sul prato di Pontida, che chiede a gran voce “Maroni Presidente del Consiglio” è la chiave di lettura di quanto oggi sta accadendo alla base del Carroccio.
Insomma, la nota - e crescente - disaffezione verso i partiti non comporta un analogo distacco dalla politica in quanto tale e, anzi, stimola gli elettori, quando vengono chiamati alle urne, ad esprimere il proprio dissenso che va dalla crescente astensione alle votazioni alla partecipazione in massa ai referendum abrogativi delle volontà degli stessi partiti. Più chiaro di così, si muore. L’atteggiamento, oggi quasi bi-partisan, è chiaramente antipartitico, antigovernativo e antiberlusconiano.
Le stesse primarie hanno confermato la voglia di sovranità del popolo: l’elezione di Niki Vendola in Puglia, Giuliano Pisapia a Milano, Matteo Renzi a Firenze e Luigi De Magistris a Napoli (in quest’ultimo caso perché non svolte con trasparenza) sono l’ampia dimostrazione della volontà di scelta reclamata dall’elettore. A quando il cambio del “Porcellum”?