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n. 2281 del 20/01/2010

IL BUSINESS DEI RIMBORSI ELETTORALI

“La Corte ha più volte segnalato come la correlazione fra contributo finanziario statale e rimborso delle spese elettorali sia soltanto formale, dal momento che il diritto al contributo e la sua misura sono parametrati in proporzione ai voti conseguiti dalla singola formazione politica che abbia superato le soglie legali di preferenze espresse per il rinnovo del Senato e della Camera e non alle spese effettivamente sostenute ”. Così si legge a pag. 15 del referto della Corte dei Conti riguardante le spese ed i finanziamenti dei partiti in occasione delle ultime elezioni politiche. In sostanza la Corte dei Conti chiarisce (pag. 179) che, ad oggi, “...la differenza fra le spese elettorali effettuate (dai partiti) ed il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero e proprio finanziamento...”. Basti solo pensare che le spese sostenute dai partiti, alla elezioni politiche del 12 e 13 aprile 2008, ammontano a 110.127.757,19 euro e che, invece, saranno rimborsati dallo Stato Italiano, cioè utilizzando i sodi dei contribuenti, in un periodo intercorrente tra il 2008 ed il 2013, ben 503.094.380,90 con un differenziale pari a 392.966.623,71 euro che rappresenta il 457% in più di quanto dichiarato come spese. Tale differenziale, pari quindi a quasi 400 milioni di euro (circa 800 miliardi delle vecchie lire) è, anche a detta della Corte dei Conti, un vero e proprio finanziamento pubblico ai partiti in questo aggirando l'esito positivo del referendum abrogativo del 1993.

Di più. Alle elezioni politiche del 2001, i partiti incassarono addirittura quasi il 960% in più di quanto spesero (circa 427 milioni di euro) e dal 1994 al 2008, hanno introitato circa 2.260 milioni di euro con un surplus pari a 1.675 milioni, in media quasi il 400% in più di quanto speso.

Con il referendum del 18 aprile del 1993, il 90.3% del popolo votante aveva stabilito l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. E allora i partiti s'inventarono il rimborso elettorale: 800 lire per ogni cittadino residente e per ognuna delle due Camere. Totale 1.600 lire. Dopo l'idea transitoria del versamento volontario del 4 per mille (volontario) subito abortito, nel 1999 i partiti ritoccarono il rimborso elettorale dalle iniziali 800 lire a 4.000 lire (circa 2 euro) per ogni elettore e sempre per ogni Camera del Parlamento per poi fissarlo, nel 2002 in piena crisi a seguito dell'attentato alle Torri Gemelle, a 5 euro, non più per ogni votante ma per ogni iscritto alle liste elettorali (che sono molti di più) e sempre per ogni Camera (quindi 10 euro ad elettore) con l'aggiunta di una furberia: che il calcolo per il Senato andava fatto sulla base degli elettori della Camera che, ovviamente, sono molti di più, cioè oltre 4 milioni, per un totale di oltre 20 milioni di euro incassati oltre il dovuto.

Non soddisfatti di quanto già fatto, con l’art. 39 del d.l. 273/2005, convertito poi nella legge 51/2006, il Parlamento, sempre in piena crisi finanziaria, ha consentito l’erogazione del contributo anche nell’ipotesi di anticipata interruzione della legislatura. In sostanza i partiti, oggi, oltre ad introitare il rimborso elettorale derivante dalle elezioni politiche del 2008, continuano ad incassare, anno dopo anno, anche il rimborso elettorale della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006 nonostante la legislatura si sia interrotta dopo soli 2 anni. Sempre dalla relazione della Corte dei Conti, si evince perciò che, per il triennio 2008/2010 ex legislatura 2006/2010, l'importo ammonta a circa 300 milioni di euro che vanno ad aggiungersi agli oltre 503 milioni di euro che i partiti percepiranno per la legislatura 2008/2012. Se a quest'ultimi aggiungiamo anche i contributi percepiti per le elezioni europee e quelle regionali (non incluse quelle del 2010) i partiti incasseranno, dal 2008 e per 5 anni, quasi 1 miliardo di euro (2.000 miliardi di vecchie lire) di soldi del contribuente italiano! “La crescita proporzionale che si rileva a partire dal 2004, in occasione delle elezioni europee, diventa esponenziale a partire dal 2008, anno in cui al contributo spettante per le elezioni politiche dell’anno si cumulano, oltre alle “rate” annuali residue delle elezioni regionali ed europee, anche quelle delle precedenti elezioni politiche del 2006...” così, a tal proposito, commenta la Corte dei Conti.

Sempre la magistratura contabile osserva che “...nell’ambito delle misure di contenimento della spesa pubblica, sarebbe coerente eliminare la corresponsione degli interessi legali sulle somme dovute ai partiti a titolo di contributo alle spese elettorali nell’ipotesi di erogazione ritardata per temporanea difficoltà di disponibilità di bilancio. E’ indubbio che la corresponsione degli interessi risponde ai comuni principi civilistici in materia di adempimento delle obbligazioni... ma è pur vero che, a fronte di “rimborsi” che superano di gran lunga le spese effettivamente sostenute dai partiti nelle campagne elettorali, l’introduzione di una norma che ne preveda l’erogazione senza l’applicazione degli interessi legali eliminerebbe l’effetto espansivo di impiego di risorse pubbliche, che appare già fortemente squilibrato a vantaggio dei partiti...”.

Concludendo, per capire il fenomeno, ricordo che ogni cittadino spagnolo per mantenere i partiti spende 2,58 euro, il cittadino italiano oltre 10 euro e l'Italia e la Spagna sono due paesi confrontabili perché vantano la stessa ricchezza nazionale pro-capite: 26.100 euro l'anno.

Tutto sommato al giorno d'oggi, forse più che un'impresa conviene fondare un partito: sono garantiti, per cinque anni e senza rischio d'impresa, introiti sicuri e corredati dagli interessi legali. Che si può volere di più dalla vita?


Armando Della Bella


Paolo Tagliaro © 2003/04 - Tutti i diritti sono riservati