Qualche tempo fa ho avuto il piacere di conoscere, a Milano, l’avvocato Umberto Ambrosoli. Lo incontrai due o tre volte. Confesso che, in primis, la mia attenzione nei suoi confronti era motivata più che da interesse professionale, dal poter finalmente conoscere dal vivo quel bambino ritratto in una foto del tempo, stampata poi sulla copertina di un libro di successo (Qualunque cosa succeda, edizioni Sironi), seduto su un’automobilina ed il cui papà Giorgio, chino, con la mano destra, lo accompagnava amorevolmente nella guida.
Fui colpito dalla sua estrema disponibilità, cortesia e affabilità, condite da molta umiltà ma anche grandissima professionalità e senso del dovere. Fu uno dei legali difensori che fece assolvere, dall’accusa di ingiuria, Piero Ricca, colui che, qualche anno fa, in un corridoio del Tribunale di Milano, alla fine di un’udienza del processo Sme, urlò a Silvio Berlusconi: “Fatti processare buffone! Rispetta la legge! Rispetta la Costituzione! Rispetta la democrazia! Rispetta la dignità degli italiani! O farai la fine di Ceaucescu o di don Rodrigo!”.
Per ragioni anagrafiche non ho avuto il piacere di conoscere il dottor Giorgio Ambrosoli, ma in quei giorni ero certo che conoscendo lui, capivo chi era e chi fosse veramente il suo papà: un servitore dello Stato. La notte tra l’11 ed il 12 luglio del 1979, oltre trent’anni fa, un sicario uccise freddamente, con alcuni colpi di pistola, l’avvocato Ambrosoli, il liquidatore dell’impero di Michele Sindona. Un killer, giunto appositamente dagli USA ed ingaggiato dallo stesso Sindona.
«In termini romaneschi, se l'andava cercando» ha recentemente e scandalosamente dichiarato a Giovanni Minoli il senatore a vita Giulio Andreotti durante un’intervista concessa per la trasmissione “La storia siamo Noi” in questo confermando le tesi di chi sostiene che il senatore fosse persona molto vicina al banchiere siciliano al punto di non aver mai smesso di sostenerlo anche quando personalità di grande rilievo come il banchiere Enrico Cuccia, Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, questi ultimi ex governatore ed ex vicedirettore della Banca d’Italia, si opposero con forza alle oscure trame del finanziere. Paolo Baffi e Mario Sarcinelli pagarono poi a caro prezzo questa loro opposizione: furono entrambi oggetto di una ingiusta campagna diffamatoria che ne minò per lungo tempo l’immagine e l’onore. Michele Sindona morirà in carcere il 22 marzo 1986, dopo 56 ore di agonia, avvelenato da un caffè al cianuro servitogli, la mattina, dagli agenti di custodia.
Non possiamo però dimenticare che Giulio Andreotti subì un processo penale la cui sentenza di primo grado del 23 ottobre 1999 fu confermata da quella d’appello del 2 maggio 2003, che la riformò soltanto trasformando l’assoluzione in prescrizione del reato di associazione a delinquere, comunque «commesso fino alla primavera del 1980». Dunque il senatore Andreotti per i suoi rapporti con Cosa Nostra fu riconosciuto responsabile, fino al 1980, del reato di associazione a delinquere. Per le accuse successive alla primavera del 1980, la Corte d’Appello confermò i fatti, confermando però anche l’assoluzione per insufficienza di prove. Tutto ciò diventò definitivo con la sentenza della Cassazione del 15 ottobre 2004. Secondo la Corte d’Appello, Andreotti, «con la sua condotta (...) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi».
L’art. 59, comma 2, della Costituzione stabilisce che “… Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario…” . Infatti il 1 giugno 1991, il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, nomina Giulio Andreotti senatore a vita per meriti in campo sociale e letterario. Chi, tra l’avvocato Giorgio Ambrosoli e il senatore a vita Giulio Andreotti, ha, per altissimi meriti, maggiormente illustrato la Patria «...andandosela a cercare…»? A volte le “medaglie” finiscono sul petto sbagliato?