Il Ministro della Salute Storace, non è riuscito a prevalere sulla Lobby Federfarma che ha concesso uno sconto del 20% max, sui medicinali da banco o quelli in fascia C a pagamento e non rimborsabili dal Ssn Servizio Sanitario Nazionale. Storace minacciava di concedere ai Supermercati la vendita delle medicine da banco e si sa, che le farmacie non vogliono affatto, la concorrenza, preferendo il monopolio
In pratica, aspirine, colliri, pomate, anti-infiammatori, tachipirine e generici classificati come Sop cioè senza obbligo di prescrizione Otc (Over the counter) “da banco” saranno acquistabili con una riduzione a discrezione del farmacista. Federfarma, il sindacato dei farmacisti, non era favorevole al calo dei prezzi. Così caleranno i prezzi di qualche saponetta, e fine. Il sistema però è paralizzato perchè impedisce l’ingresso a nuovi attori cioè 33 mila laureati in farmacia che non possono esercitare la loro professione, come sottolinea il Movimento Liberi Farmacisti, che si batte da anni contro il monopolio.
Bisogna svincolare il guadagno dei farmacisti dal prezzo dei medicinali, spalmare lo sconto su tutti i medicinali di fascia C, non solo su quelli senza obbligo di ricetta e rivedere il numero delle farmacie Una vera riforma dovrebbe partire da questo, indicare il numero minimo e non il massimo.
Un documento del MLF prevede, tre punti fondamentali:
1. La remunerazione. Bisogna rompere il legame con il prezzo del farmaco. In Italia, il compenso del farmacista è in percentuale al prezzo, più alto è il prezzo più guadagna il farmacista.
In Europa, invece, sono pagati i servizi resi.
2. Estendere a tutti i medicinali di fascia C lo sconto. Oggi lo sconto è possibile solo sui farmaci di automedicazione che rappresentano solo 8% della spesa del consumatore.
3. Eliminare il tetto massimo delle farmacie. La legge dovrebbe indicare solo il numero minimo, così nuovi professionisti potrebbero inserirsi, perché le farmacie in Italia sono poche.
Esempio per Comuni con più di 12.500 abitanti ci può essere una farmacia ogni 4.000 abitanti
per Comuni con meno di 12.500 abitanti una ogni 5.000 abitanti.
Ma l’80% degli agglomerati urbani è al di sotto dei 12.500 abitanti, che vuol dire che nella maggior parte dei comuni italiani esiste una sola farmacia. E le farmacie comunali?
Dove c’erano farmacie sono state vendute.
Le Amministrazioni Comunali per incassare capitali freschi, hanno cominciato a vendere di tutto, cedendo ai privati la maggioranza azionaria delle aziende Pubbliche, che dovrebbero gestire.
La quasi totalità delle forze politiche hanno ormai adottato l’idea che “privato sia meglio.”
Un settore inesistente a Vicenza, ma diffuso in molti comuni, è la Farmacia Comunale.
In molte provincie anche le Farmacie state messe in vendita, cedute a multinazionali, senza un attimo di riflessione e senza pensare che la Farmacia è considerata un “servizio pubblico locale”. Non si capisce perché si debba vendere un patrimonio che produce utili elevatissimi ed offre un servizio estremamente professionale e con molta sensibilità sociale.
Il mantenimento della maggioranza del capitale sociale, cedendo ai privati/farmacisti la quota di minoranza, è una cosa ragionevole ciò consentirebbe di mantenere il dominio dell’impresa pubblica e incassare ogni anno per sempre dividendi importanti.
Le Amministrazioni Comunali, nel giusto rapporto costi/benefici, si dovrebbero impegnare al meglio per investire nella distribuzione dei farmaci, facendo concorrenza alla farmacie private. Sviluppare il sociale delle farmacie, provvedere per esempio, alla consegna dei farmaci a domicilio per le categorie di cittadini disagiati, anziani e privi d’assistenza famigliare, un servizio di prenotazione dei servizi a costi di concorrenza, assunzione di giovani laureati. Così facendo il pubblico diviene fattore di traino e promotore, del generale funzionamento di un servizio indispensabile, che non dimentichiamo è pagato in anticipo dai cittadini, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. A Vicenza non esiste una farmacia comunale, perché? Se molte aziende pubbliche sono state cedute per fare incasso, perché non crearne altre di nuove che, producono reddito, dando lavoro e servizi?
Il passaggio di molte gestioni pubbliche, a quelle private, non ha prodotto nessun risultato utile per gli utenti consumatori che sono poi i veri proprietari della cosa pubblica.
Molti manager, eletti da nessuno, invece di far funzionare al meglio i servizi essenziali, puntano esclusivamente al loro smantellamento.
Negli ultimi anni, i costi dei principali servizi di pubblica utilità, sono tutti cresciuti. Come sono cresciute a dismisura le Agenzie, Imprese, Multiutilitys, Società s.p.a, Aziende di Servizi e altro.
Tuttavia, i cittadini, sono sempre in attesa che gli imprenditori, diano segni di efficienza e i pubblici amministratori, facciano buone regole, ed il mercato sia di effettiva concorrenza.
Allora i cittadini, ne avremo tutti dei benefici.
Personalmente, sono convinto che, nello spirito della libera concorrenza , la giusta contrapposizione tra un pubblico servizio (che non gravi sulle tasche dei contribuenti) ed il privato, sia fonte di sicuri vantaggi per tutti.
Nello specifico, le farmacie comunali garantiscono utili ovunque. Introiti utilizzabili e reimpiegabili in servizi di assistenza alla comunità come asili nido, scuole materne, servizi agli anziani bisognosi.
Dove esistono, è necessario che le farmacie pubbliche mantengano la loro funzione di salvaguardia della salute pubblica senza diventare un’appendice commerciale di una multinazionale, dove non ci sono bisogna inventarle, con spirito di sussidiarietà.
Certo che la legge, ha bisogno di una revisione.