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 Convegno organizzato alla sala "Fornace Carotta" (PD) il 14.1.2005... di Cittadini Attivi
 
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Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea

Oscar Wilde
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Di Armando Della Bella (del 14/09/2013 @ 19:22:30, in Costituzione , linkato 2735 volte)

E’ ormai cosa nota: il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha recentemente nominato i trentacinque esperti della commissione per le riforme costituzionali. Una commissione trasversale i cui componenti dovranno elaborare il piano di riforme del nostro impianto costituzionale. Non per nulla sono stati definiti i "saggi", teorici e pratici del diritto incaricati di fornire le indicazioni nel merito delle modifiche da apportare alla Costituzione. Però la cosa non finisce qui! Eh no, perché i teorici son sempre i “teorici”, mica i “pratici” e allora ecco che, contestualmente, si nomina un comitato di ulteriori sette persone dedicato alla redazione del rapporto finale frutto del lavoro della commissione degli esperti.

A conti fatti se sommiamo i sette redattori ai trentacinque saggi arriviamo ad un totale di 42 persone, il numero giusto per noleggiare un bel pullman con il quale effettuare tutti gli spostamenti su Roma. Il torpedone ultimamente va di molto di moda nella politica. Aiuta a fare conoscenza, a fare squadra, il più delle volte a stringere amicizia, talvolta a litigare. Il problema è il parcheggio. Ma a Roma dove lo parcheggi il pullman degli esperti? In piazza Montecitorio? Uhm purtroppo ultimamente è divenuto un luogo troppo pericoloso, si rischia la rottura dei vetri, la presa a sassate, le incisioni delle fiancate con mille chiodi, se non la pistolettata di qualche disperato. La gente, ultimamente, da quelle parti, sta un po’ sull’agitato.

E allora col pullman facciamo loro fare una bella gita sulle colline agresti, li portiamo a dormire in qualche abbazia benedettina, resort o tipico agriturismo ciociaro dove, vestiti in modo informale, senza cravatta e tailleur, elaborare, tra un manicaretto e l’altro, la riforma di una delle più belle Carte Costituzionali del mondo e magari, dopo l’abbacchio, anche la riforma della legge elettorale.

Tutto qui? Eh no. Oltre alla Commissione dei Saggi, a seguire entra in campo una commissione bicamerale composta da venti senatori e venti deputati, il cosiddetto «Comitato dei 40» cioè ulteriori quaranta partecipanti. Con questi ultimi si arriva ad un totale di ben 82 persone coinvolte nel progetto di revisione della nostra Costituzione. Tutto il lavoro dovrà essere svolto nel tempo di due gravidanze, cioè diciotto mesi. Il Comitato avrà in ogni caso solo poteri referenti: i testi cioè, al termine del periodo, saranno sottoposti al vaglio delle aule parlamentari che potranno emendarli e, di sicuro, ci sarà la possibilità di svolgere in ogni caso un referendum confermativo.

Un dubbio: ma questi compiti non competono agli eletti che sono già tanti (circa mille)? Ma quando li tagliano? Ma in tempi di “spending review” è veramente necessario mettere in campo tutte queste ulteriori risorse, creare tutta questa complessa architettura per riformare la Costituzione? Non è che tutto ciò invece è una piccola furberia finalizzata a garantire lunga vita al governo per il quale così facendo si è fissato un tempo minimo di sussistenza (18 mesi)? Eh sì che qualche settimana fa un «saggio», Valerio Onida, chiamato da una finta Margherita Hack parlando della commissione dei saggi, ebbe a dire «… è probabilmente inutile...» mentre il sindaco di Firenze, Matteo Renzi così commenta «… ci dirà le cose che già sappiamo, ma per questo basta anche un grullo, non ci vuole un saggio...».

 

Armando Della Bella
copyright © giugno 2013

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Di Armando Della Bella (del 30/09/2013 @ 18:17:32, in Politica, linkato 2466 volte)

«Sai contare? Sai camminare?» «Si! Penso di si!» «Allora forza! Conta e cammina! dai... 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8... 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99 e 100!» Cento sono i passi che servono a Cinisi (PA) per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti ed è sulle note della canzone “I cento passi” ispirata all’omonimo film di Marco Tullio Giordana che il nuovo segretario politico Ignazio Messina apre e chiude, a Sansepolcro (AR), il primo incontro della nuova Italia dei Valori post congresso, un appuntamento che, a fine giugno scorso, si rivelò assai combattuto, lacerante, condito da sospetti di brogli elettorali e tesseramenti troppo facili.

Riuscirà il buon Messina a traghettare il partito verso la sponda del pidimenoelle, a percorrere i cento (mille? un milione?) passi verso un nuovo dialogo col centrosinistra, così come più volte auspicato dal palco? Difficile dirlo, anzi difficilissimo, quasi impossibile se il futuro leader dei progressisti sarà, come assai probabile, l’ex boy-scout Matteo Renzi. Saranno anche cento i passi da fare, ma politicamente son passi del gambero. Nel frattempo cambia il simbolo, sparisce il nome Di Pietro, il gabbiano viene liberato dal “cerchio magico” che gli impediva di volare alto e compare nel logo il vessillo nazionale quale richiamo alla Costituzione.

Di Pietro? Dopo i saluti iniziali del neo tesoriere del partito Ivan Rota, molto abile nel gestire il microfono al punto tale da far impallidire il sempre abbronzato Carlo Conti, proprio al presidente onorario tocca dare il la alla parte politica. Il suo è un mea culpa a tutto tondo, sono stati commessi errori di cui si assume la responsabilità, la sua è una virata di 180° gradi «dobbiamo uscire dal mero settarismo protestatario, l’Italia dei Valori non può più presentarsi al Paese in nome di una persona sola», parla di un partito che ha setacciato “traditori e venduti”«erano entrate delle persone per farsi gli affari suoi, persone non sempre scelte nel modo giusto» - perché ora «chi sta di qua è perché ci crede», rivendica il suo ruolo di semplice iscritto e confessa, con umanità, «che prima o dopo le forze ti lasciano». Eppure la base del partito, composta nella prima ora in gran parte da neofiti della politica ma assai convinti dei “valori” fondanti il movimento, più volte aveva segnalato ai vertici dello stesso le epurazioni che i vari “mosconi verdi” (per dirla in dipietrese), spesso riciclati da altri partiti, operavano sul territorio. Ma tant’è, e ora ci si lecca le profonde ferite.

Ora, ammette il Presidente con tristezza e sofferenza, l’operazione Mani Pulite è consegnata alla storia, la bambina chiede alla mamma che si fa fotografare vicino a Di Pietro: «Mamma, ma chi è? Un attore?». Rilancia sui temi di sempre, dalla protesta alla proposta, la foto di Vasto per una vera alternativa di governo, la difesa della Costituzione, il partito di lotta ma anche di governo. In verità, nulla di nuovo, ma cavalli di battaglia più volte giocati dall’IdV sul parterre della politica. Un Di Pietro che, al microfono, con l’occhiale di trequarti, appare stanco, affaticato dopo quindici anni di attività politica sempre passati davanti alle sue truppe.

Ma ecco il colpo di teatro, il tono della voce sale, si rimbocca le maniche, l’occhio si illumina sanguigno, lo sguardo diventa istrionico, il Di Pietro di sempre esplode: appare un video, assai datato, dove Berlusconi dichiara che in politica i condannati per evasione fiscale dovrebbero farsi da parte. «Per la prima volta nella mia vita sono d’accordo con lui!» urla ad una platea che, in piedi, si spella le mani, salvo poi rinverdire la battaglia politica di sempre: «ma che Stato di diritto è quello che vota una sentenza?».

Dura per il nuovo segretario Messina superare l’identità del “padre padrone”. Ci prova snocciolando una sequenza di obiettivi politici su cui incanalare il partito, proclama concretezza, cerca l’applauso, blandisce il parterre «purtroppo non abbiamo cacciato a calci nel sedere chi se lo meritava!». Rispetto all’incendiario Presidente, egli appare al pari di un diesel. Vuole politicamente distinguersi dai grillini, che più volte, con ironia, chiama “surgelati”, però rivendica per il partito battaglie politiche che, in realtà, il M5S già sostiene in Parlamento, dalla difesa della Costituzione e dell’intoccabilità dell’articolo 138 al voto segreto al Senato sulla decadenza del Cavaliere, dall’inopportuna nomina di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale alla necessità di sottoporre a referendum popolare ogni modifica costituzionale.

Accusa Grillo di non aver dato vita al governo di centrosinistra, «di non aver chiesto (a Bersani ndr) almeno tre ministeri», perché «il loro congelamento ha prodotto Berlusconi al governo». Dimostra insofferenza per l’invasione di campo grillina e prova a smarcarsi chiarendo che il suo non «sarà mai un partito che va sui tetti» perché, chiarisce «noi le riforme le faremo in aula». Peccato che il popolo italiano ora l’Italia dei Valori, in Parlamento, non ce l’ha proprio mandata. Ma il plagio grillino non si ferma qui, ce n’è anche per chi dei suoi, tradito dalla debolezza umana, vorrebbe cogliere un po’ di visibilità in televisione: «consiglio a voi di non andare in TV dove si parla di scandali…». Purtroppo, continua Messina, «coi surgelati non cucini, devi aspettare che si scongelino e poi magari trovi che sono pure andati a male». Ma non sono solo i “surgelati” il nemico da combattere politicamente ma anche i referendum sulla Giustizia promossi dal Partito Radicale, fatta eccezione per quello sul rientro nelle funzioni proprie dei magistrati fuori ruolo.

Un partito, l’IdV, che ora soffre un isolamento mediatico anche se il segretario cerca di rassicurare i suoi affermando che «le trasmissioni televisive ci quotano, pensano che facciamo sul serio» e soffre anche un isolamento politico: nessun segretario di partito od esponente di primo piano presente al convegno, il Governatore della Sicilia Crocetta – la cui presenza era stata preannunciata - dà forfait, il PD e SEL si fanno rappresentare da due senatori (rispettivamente Donatella Mattesini e Loredana De Petris). I convenuti confidano almeno in una lettera di saluto da parte del segretario del PD Guglielmo Epifani, missiva che invece non arriva. La dura legge della politica, quando conti tutti a cercare di stringerti la mano… diversamente ti confinano forzatamente nell’oblio.

Il ministro Saccomanni è in difficoltà col Bilancio dello Stato? Il debito pubblico aumenta sempre più? Nessun problema, ecco la proposta di Messina per una manovra da 100 miliardi di introiti che passa dalla lotta all’esportazione di capitali alla riduzione delle pensioni d’oro, dal concordato fiscale con la Svizzera alla rinuncia all’acquisto degli F35, dalla riduzione delle auto blu alla confisca dei beni degli evasori, dalla vendita del patrimoni della criminalità organizzata all’utilizzo della moneta elettronica, dalla riduzione del 50% dei ministeri alla riduzione dei membri negli enti partecipati, dall’eliminazioni del vitalizio agli eletti alla introduzione dei costi standard nella PA. Nulla di nuovo sul fronte della lotta ai privilegi, agli sprechi e ai costi della politica. Eh sì però, chiosa, gli altri partiti «leggono solo i numeri della crisi e dormono, noi invece proponiamo…». E come mai, qualcuno sussurra in platea, tutti questi bei propositi non sono stati realizzati quando si stava al governo del Paese? Vallo a capire.

“Basta cesoie, costruiamo ponti” è il leitmotiv dell’incontro corollario del mantra “Lavoro, Lavoro, Lavoro, Lavoro, Lavoro” tema dell’assise. Ignazio, guardando fisso la sala, chiede agli iscritti «cosa vogliamo fare da grandi», che per un partito che ha già alle spalle quindici anni di attività e quattro legislature è un bel dire, non vuole essere «il segretario della sopravvivenza» e quello che per lui è certo è che «non andremo da qualche parte con le ginocchia piegate» quasi a rassicurare quella parte del partito che vede nell’operazione Messina la svendita del gabbiano al miglior offerente.

Sa che deve recuperare la base di un movimento che dal congresso esce distrutta e avvelenata, divisa in cinque correnti tante quanti erano i pretendenti al ruolo di segretario. Il tono della voce e la tensione che traspare dal volto tradiscono la sua emozione. Dei quattro candidati perdenti solo Borghesi non si è fatto vedere, Scalera e Castellarin non hanno avuto alcuna vetrina, Rinaldi ha compartecipato ad un dibattito sull’Europa e l’ex tesoriere del partito, Silvana Mura, ai tempi d’oro detta la zarina, si aggirava per le sale del convegno con aria alquanto distaccata e protetta da un ampio paio di occhiali da sole. Cerca, il neo segretario, di recuperare quanto più consenso, dai giovani proponendo il voto elettorale a distanza per gli studenti fuori sede, dalle donne suggerendo il ripristino della L.188/2007 contro l’infamia della firma delle dimissioni in bianco.

I big del partito non ci sono più, se ne sono andati quasi tutti (Donadi, Formisano, Belisario, Lannutti, Costantini, Orlando, Sonia Alfano, Pardi, Mascia solo per citarne alcuni…) il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che tra le righe confessa che «non so se sarò ancora il prossimo Sindaco di Napoli», intervenendo in un dibattito sulla buona amministrazione, a precisa domanda della giornalista Claudia Fusani, tiene a precisare che «di tessera, lui, ha solo quella dell’ANPI», quasi fosse una malattia possedere quella dell’IdV, anche se poi, spiega che si considera vicino al partito, non fosse altro per l’ampio gruppo consiliare che sostiene la sua giunta a Napoli.

Un partito l’IdV che, privato del carisma del suo fondatore, ora è alla ricerca di una sua identità politica assai difficile però da individuare, oggi così stretto in un abbraccio mortale tra PD e Movimento 5 Stelle che ne hanno fagocitato i temi sociali e morali. Una cosa è certa, non farà più comitati elettorali, la “Rivoluzione” non ha pagato. Un partito, precisa Messina, dalle «porte spalancate ma con soli posti in piedi, anche perché di poltrone, oggi noi, non ne abbiamo da offrire!», un movimento accreditato dai sondaggi di un consenso pari a circa l’1%, utile, in prospettiva europea, al conseguimento di almeno un seggio parlamentare che, molto probabilmente, sarà consegnato al Presidente Di Pietro. Rinaldi, parlamentare europeo IdV in carica ma, purtroppo per lui, oggi in minoranza nel partito, sul suo futuro non può certo dormire sonni tranquilli.

In sala stampa suscita scalpore che il neo segretario, nel suo discorso conclusivo, non citi mai Di Pietro. Casualmente incrocio il Presidente mentre esce dalla sala convegni poco prima che Messina concluda i lavori del convegno. Non vi ritornerà più. Il volto è segnato da evidenti segni di stanchezza e sofferenza, gli occhi non sono così brillanti come suo solito. Nella hall dell’hotel le illazioni si sprecano, molti ipotizzano un acceso diverbio con il nuovo padrone di casa. Il partito, nel pomeriggio chiarisce poi che si è trattato solo di un crollo fisico. Chissà?

Nel frattempo risale forte, fortissima la musica, «Sai contare? Sai camminare?» «Si! Penso di si!» «Allora forza! Conta e cammina! dai... 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8... 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99 e 100!», le bandiere in sala sventolano freneticamente, Messina alza le mani, saluta, sorride e stringe le mani dei suoi fedelissimi accorsi ad acclamarlo sotto il palco. Il presidente, sommessamente e a capo chino, percorre i “cento passi” che lo portano, in auto, fuori dall’Hotel Palace, il nuovo segretario percorre i “cento passi” che lo portano verso una nuova e sfidante avventura. Eh sì, “I cento passi”… del gambero o del grillo?

Armando Della Bella

giornalista iscritto all’Ordine

 

 Copyright © Sansepolcro (AR), 16 settembre 2013

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