Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La crisi finanziaria ora in corso colpisce tutti, indistintamente, anche quegli Stati nazionali e quelle realtà locali che si riteneva fossero comunque immuni da tali fenomeni di crisi. Al nordest prezzi bloccati fino a Natale. E' questo un altro modo per fronteggiare la crisi e far si che il potere d'acquisto delle famiglie non vada a rotoli del tutto. Oggi le regioni italiane si affrettano a varare provvedimenti per tutelare i lavoratori. La situazione economica soffre in maniera drammatica, l'inflazione è in frenata con la benzina che ora costa molto meno, ma, non si capisce perché, continuino invece ad aumentare luce, gas ed generi alimentari.
Nello specifico ad esempio la regione Veneto ha firmato un accordo con i commercianti e con la Confartigianato di settore affinchè i prezzi di pasta, pane e prodotti di pasticceria restino invariati. L'intervento darà sollievo alle famiglie, nello stesso tempo garantirà uno sbocco commerciale per la salvaguardia delle aziende venete e quindi dei posti di lavoro.
Il problema è dovuto anche al mancato adeguamento delle retribuzioni dei lavoratori da dieci anni a questa parte mentre l'inflazione ha continuato a crescere. La cassa integrazione in veneto è aumentata fortemente (+47% l'ordinaria), a settembre la mobilità ha toccato quota 13.243, il 21% sono stranieri. C'è bisogno quindi di tutela, reperire mezzi e fondi (si sta trattando con Roma per 40 milioni di euro) per arginare i problemi più gravi e far ripartire l'economia anche grazie alle banche che hanno evitato di chiudere i crediti alle imprese.
Il timore più grande è poi provocato dalla recessione in Germania. Infatti il mercato tedesco è il più importante per il nordest. Settori come la meccanica, il tessile, l'arredo, esportano fino al 60% della produzione.
E pensare che “Cittadini Attivi” già da tempo aveva messo in luce questi annosi problemi, le retribuzioni povere dei lavoratori, il basso potere d'acquisto delle famiglie, gli innumerevoli sprechi dello Stato, i mutui, le pensioni. Tutto documentato, nulla viene lasciato al caso dall'associazione e quello che si temeva purtroppo si è avverato. Allora è ora di smuovere le acque se non vogliono farci sprofondare.
“Con Di Pietro avevamo sottoscritto un programma per costituire un unico gruppo, quando si è accorto che aveva un numero sufficiente di parlamentari per costituirne uno da solo, Di Pietro ha stracciato quell'impegno». Duro il giudizio sull'ex pm: «Molto lontano dall'alfabeto della cultura democratica del centrosinistra». E ancora: "L'alleanza con Di Pietro è finita perché dopo le elezioni ha rotto il patto di programma e ha rifiutato il gruppo unico". Così si esprimeva, in TV da Fabio Fazio, Walter Veltroni, leader del Partito Democratico, parlando del suo ex alleato Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori. Secca la replica dell'ex pm: "Si arrampica sugli specchi, la verità è che il suo partito è inesistente, e negli ultimi mesi ha oscillato tra collaborazione con il governo e collaborazionismo".
Un patto elettorale e la promessa di formare un gruppo unico alla Camera sono andati in frantumi subito dopo il voto. Su questa alleanza si era schiantato tutto il centrosinistra alle ultime politiche: la scomparsa della sinistra radicale ed ambientalista, la caporetto socialista, la diaspora mastelliana. Su questa alleanza si era avvinghiata l'IDV per restare in Parlamento. Su questa alleanza il PD aveva giocato la sua sconfitta, su questa alleanza il PdL aveva costruito il suo granitico successo. Su questa alleanza si era costruito un programma di governo, su questa alleanza si era chiesto il consenso ad oltre il 37% dell'elettorato. Un patto tradito.
Ma non l'ultimo. Tra i tanti, come non ricordare il “salto della quaglia” compiuto da Mastella nel 1998? E quello compiuto da Dini nel 1996 e poi, l'ultimo, nel 2008? E le tanto promesse leggi sul “conflitto d'interesse”, innalzamento delle pensioni minime, abbassamento del prelievo fiscale, regolarizzazione del precariato, lotta a sprechi e privilegi della politica, sconfitta della criminalità organizzata e riqualificazione del meridione?
Il “teatrino” della politica. Una politica che non celebra nemmeno più i congressi nazionali. L'ultimo “vero” congresso, condito da una sana contrapposizione interna, è stato quello di Rifondazione Comunista. Alcuni partiti, negli ultimi 10 anni, non li hanno MAI celebrati, anche quei partiti supposti più virtuosi. La politica attuale: quanto di più effimero ed irrazionale la mente dell'uomo ha potuto partorire. Un mondo, oggi, dove non esiste confine tra la verità e la bugia, tra la convinzione e l'ipocrisia, tra l'idealismo e l'opportunismo. Altri tempi quelli della “Costituente” e del “miracolo italiano” del dopoguerra. E' alla politica che l'elettore delega la soluzione dei propri problemi, la gestione del Paese, la pianificazione del futuro dei propri figli. E' ai politici eletti che il cittadino medio chiede che le promesse siano mantenute.
Ma se si è pronti a tradire, per denaro, bieco opportunismo e tornaconto, addirittura gli impegni presi con gli alleati, chi potrà mai oggi garantire l'elettore che il suo voto sarà rispettato per le promesse fatte ed il mandato conferito? In politica, di questi tempi, sempre più affidabilità e coerenza non fanno più rima con decenza...
Non si possono punire quei sindaci che hanno tenuto in passato un bilancio in pareggio, quando altri sforavano. Con le successive sanatorie - vedi oggi i casi di Roma, 500 milioni di euro, e Catania, 140 milioni di euro - e con i sussidi basati sulla spesa storica, chi più aveva speso, più ha continuato e continua a ricevere e chi meno ha speso, continua a patire. La situazione è aggravata dai ritardi nella compensazione per l’abolizione dell’Ici sulla prima casa, un’imposta che pesa di più in quei Comuni che, penalizzati dagli scarsi sussidi centrali, avevano alzato il tributo locale.
E' partito dal Veneto con destinazione Roma, il movimento composto da quasi 500 sindaci, appartenenti ad ogni schieramento politico che, a gran voce, quale sostitutivo dell'ICI, chiedeva al governo italiano la compartecipazione al 20% dell'Irpef. L’idea è condivisibile se intesa come manovra immediata e transitoria: dà solo il necessario e ha il merito di rovesciare i ruoli, stimolando il governo a legiferare quanto prima. Non va bene se è intesa come riforma a regime.
Nel federalismo fiscale il finanziamento dovrà alla fine derivare, per varie ragioni, da un mix di fonti, tra cui potrebbe star bene anche la compartecipazione comunale all’Irpef: ma non al 20%. A quel livello, creerebbe troppe differenze tra comuni ricchi e comuni poveri, obbligando a complicate e controverse manovre compensative di perequazione, perequazione che deve però attenuare, ma non annullare, le differenze.
La compartecipazione sensibilizza i Comuni alla lotta all'evasione fiscale e contribuisce a distribuire le risorse pubbliche secondo le necessità. Infatti un maggiore sviluppo produttivo genera un maggior gettito fiscale che sarebbe restituito in quantità superiore ad altre realtà territoriali perché là dove è più forte la macchina produttiva, più spesa pubblica è richiesta. Viceversa essa però non responsabilizza il sindaco che si limita ad incassare una parte del gettito fiscale deciso dallo Stato senza perciò esercitare alcun freno sulla propria spesa pubblica.
Il federalismo fiscale invece imporrà che una buona parte della finanza locale poggi su tributi locali rendendo così il cittadino consapevole del costo e del beneficio dei servizi locali inducendo perciò un'autoregolamentazione nelle richieste. Ecco perché la giusta miscela tra compartecipazione, perequazione e federalismo fiscale sarà la via migliore ad una sana amministrazione locale.
Si sa che la giustizia non gode di ottime credenziali e la cosa non è una novità. Ed è luogo comune che il nord d'Italia, ed in particolare il nord-est, sia considerato la locomotiva della nazione, la parte del paese che primeggia nelle classifiche della qualità della vita, dei servizi alla persona, dell'assistenza sociale e sanitaria, dell'impiego e delle disponibilità economiche e finanziarie. Ma, come vedremo, non è sempre così!
Infatti fa notizia che in Veneto manchino l'ufficio ed il personale amministrativo del referente per l'informatica giudiziaria. Gli esperti d'informatica tra Veneto e Friuli sono solamente nove. Gli stanziamenti sono pochi, non c'è possibilità di acquistare i computer, pagare i docenti per i corsi di formazione e aggiornamento. Questa precaria situazione rallenta, e non di poco, lo snellimento delle varie procedure come l'aggiornamento del casellario giudiziale, l'elencazione dei precedenti processi e condanne di ogni singolo imputato, l'innovativa spedizione di tutti gli atti via e-mail. Alcuni magistrati, rimasti senza computer, per scrivere le sentenze sono costretti ad usare quelli propri. Si è arrivati al punto di chiedere i computer in prestito alla Regione (ne sono stati resi disponibili circa 40).
La notizia è stata data dal responsabile dell'informatica per il Veneto, Gianmaria Pietrogrande, presidente della sezione collegiale del Tribunale di Venezia, durante l'incontro svoltosi recentemente a Verbania, in Piemonte, con i responsabili dell'informatica giudiziaria di tutt'Italia. Come si diceva, quello che può apparire incredibile è che, stando ai dati dell'incontro, il Veneto, in realtà, su questi temi, è il fanalino di coda.
Diciamolo pure, di questi tempi, con il continuo crescente livello della micro e macro criminalità, specie se d'importazione extracomunitaria, con il costante aumento degli atti delittuosi, la giustizia dovrebbe essere uno strumento sostenuto per un migliore funzionamento: è invece vergognoso che la situazione sia così drammatica.
Ma ciò che stona è il sapere che a Palermo c'è una sede d'informatizzazione di 200 mq con 4 dipendenti amministrativi e che in Puglia ci sono addirittura 32 tecnici informatici pari al numero complessivo dei tecnici presenti in tutto il nord d'Italia. E poi si dice che la "giustizia è lenta"...
Ci risiamo. Un anno fa, il ministro della difesa, Clemente Mastella, col figlio Elio, andava al Gran Premio di F1 di Monza con un volo di Stato, un Airbus da 48 posti. Il volo verrà a costare circa 20 mila euro. Nello stesso volo c’era anche il vicepremier, Francesco Rutelli, che successivamente preciserà che il suo era un “preciso compito istituzionale”. Precedentemente l’ex comandante della GdF, il generale Roberto Speciale, usò con disinvoltura gli aerei militari facendosi portare, da un Atr-42, sulle Dolomiti, una cassa con aragoste e spigole fresche.
Poco dopo - rendiamo merito - il governo Prodi, sull’onda dello scandalo, nello stesso mese di settembre 2007 emanò nuove regole in materia che restringevano l’uso degli aerei di Stato riservandoli alle più alte cariche istituzionali: Presidente della Repubblica, Presidenti di Camera e Senato, Presidenti del Consiglio, ex capi di Stato. L’utilizzo poteva avvenire solo per precisi motivi istituzionali. I ministri potevano usufruire dei voli di Stato solo se dimostravano che non vi fossero altri voli di linea. Viceministri, sottosegretari ed altri erano decisamente esclusi. In pochi mesi si risparmiarono ben 12 milioni di euro (circa 24 miliardi del vecchio conio).
Recentemente, sulla Gazzetta Ufficiale del 22 agosto u.s., compare una Direttiva del presidente del Consiglio sul trasporto aereo di Stato che precisa che, d’ora in poi, sia pure “in via del tutto eccezionale e previa rigorosa valutazione, è consentito l’imbarco a persone estranee alla delegazione ma accreditate al seguito dall’autorità, in relazione alla natura del viaggio, al rango delle personalità trasportate, alle esigenze protocollari…”. Una formula vaga che permette di ampliare nuovamente la gamma dei possibili utilizzatori dei voli di Stato, il tutto a spese del cittadino contribuente.
Incredibile! In un momento così difficile per il Paese aggravato dallo spettro della recessione, con lavoratori che rischiano il posto di lavoro (Alitalia), si ripristina, quatto quatto, un privilegio di Stato.
Per non parlare del volo Alitalia Fiumicino-Villanova D’Albenga, collegio elettorale del ministro Scajola, linea quotidiana istituita nel 2002 e caratterizzata da qualche decina di passeggeri, tratta che successivamente fu dismessa quando fu dimesso il ministro e successivamente ripristinata, da AirOne con contributi pubblici, quando Scajola ritornò come ministro per l’attuazione del programma di governo. Ora è ritornato il governo Berlusconi e Scajola è nuovamente ministro delle Repubblica. Ed il volo? Riesumato, of course!
E’ proprio vero! Il lupo perde il pelo ma non il vizio… Ma forse non è sempre così. Riccardo Capecchi, giovane funzionario della presidenza del Consiglio dell’ultimo governo Prodi, fu ripreso anche lui mentre saliva la scaletta del famoso aereo che portò, a spese nostre, Rutelli e Mastella al Gran Premio di Monza. Non ha gridato al complotto, non ha invocato superiori ragioni di Stato. Ha semplicemente ammesso di aver approfittato del passaggio e ha immediatamente rassegnato le dimissioni irrevocabili dall’incarico. Non le ha minacciate per poi ritirarle. Le ha date per davvero! Forse la speranza in una nuova classe politica eticamente e moralmente all’altezza c’è ancora…
Uno così sarà stato sicuramente candidato ed eletto, nell’aprile del 2008, al Parlamento Italiano, voi, gente di buona fede, penserete. No, non sprecate il vostro tempo in inutili ricerche sul sito della Camera. Non c’è!
L’argomento della sicurezza è uno dei temi più trattati in questi ultimi tempi. Si discute su criminalità, extracomunitari, clandestini e di quali possano essere le scelte più adeguate per arrivare alla soluzione di questo problema che ha assunto dimensioni veramente notevoli e preoccupanti a tal punto che, recentemente, alcuni Sindaci del Nord hanno assicurato, a spese del Comune, i loro concittadini contro furti, rapine e scippi. Così, già da un mese o poco più, a coadiuvare le Forze dell’Ordine è arrivato l’Esercito.
Il Governo ha inviato nelle maggiori città italiane tremila militari a pattugliare strade e piazze. A detta del ministro dell’Interno Maroni i risultati, dopo un mese dall’avvio dell’operazione, sono molto confortanti.
Da sempre sosteniamo che la “percepita” presenza dello Stato, sul territorio, costituisce valido deterrente alla delinquenza oltre al garantire la certezza della pena. Se da una parte quindi è comprensibile il compiacimento con il quale, non solo uomini politici, ma anche semplici cittadini hanno accolto la comparsa dei soldati sulle strade, dall’altra non possiamo noi, per nostra natura e scelta vigili controllori su sprechi e privilegi, non sollevare alcune perplessità di metodo.
E’ provato che in Italia il rapporto tra il numero degli addetti alle forze di sicurezza ed il numero degli abitanti è di gran lunga superiore agli altri paesi europei: 1 addetto ogni 175 abitanti in Italia contro, ad esempio, 1 addetto ogni 400 abitanti in Germania. Siamo perciò convinti che il ricorso al contingente militare potesse benissimo essere evitato attraverso una migliore razionalizzazione ed utilizzazione degli agenti impegnati in funzioni di supporto a quelle operative in senso stretto.
A questo si aggiunga l’impossibilità di conferire ai soldati le medesime attribuzioni di competenza delle forze di polizia, col risultato, quindi, di assistere al lavoro di pattuglie miste di agenti e militari dove, più che provvedere alla sorveglianza del territorio, le forze dell’ordine hanno la preoccupazione di addestrare i soldati controllando altresì che essi non esulino dall’ambito ristretto delle loro competenze. Né è condivisibile che, in un momento così delicato per la sicurezza, si decida di tagliare, dal bilancio della Stato, centinaia di milioni di euro dal fondo destinato alle forze di sicurezza.
Non giova inoltre dare all’Europa l’immagine di un paese militarizzato: non rappresenta una prova di forza ma di debolezza nell’incapacità di saper gestire, nell’ordinario, la propria sicurezza interna. Così si spiega la decisione del neosindaco di Roma, Alemanno, di interdire tassativamente ai militari, il centro storico della città, non meno segnato dall’insicurezza di quanto lo siano le periferie, sottolineando così l’effetto psicologico negativo che una simile presenza porta con sé.
Triste giorno davvero quello nel quale un ministro della difesa possa affermare che sì è disposto l’impiego dell’esercito perchè è quello che chiedono i cittadini. Di questo passo si può intravedere il momento ancora più triste in cui, ragionando con la stessa logica, si potrà giungere a introdurre la pena di morte letteralmente a “furor di popolo”.
Che la questione dell’allargamento della base americana a Vicenza stesse facendo discutere lo si sapeva già, ma superare il limite del vivere civile è proprio troppo! Ormai si è probabilmente arrivati alla stretta finale, anche se il referendum indetto per il 5 ottobre 2008 è stato definito dal Governo inopportuno - a seguito degli impegni presi con gli Stati Uniti - ed è di questi giorni la notizia che il Consiglio di Stato ha impedito la consultazione dopo che il TAR del Veneto, invece, l’aveva consentita.
Noi “CITTADINI ATTIVI” siamo favorevolissimi all’utilizzo, su temi locali, dell’istituto del “referendum” che consideriamo una delle più alte espressioni di democrazia partecipata, soprattutto quand’esso riguarda decisioni che impattano sul territorio dove viviamo. Spesso la politica si richiama all”autodeteminazione dei popoli”. Oggi si parla sempre e solo di federalismo “fiscale”. Perchè non parlare anche di federalismo applicato alle decisioni su problemi locali piuttosto che, invece, avocarle sempre centralmente?
Numerose sono state le manifestazioni organizzate dal comitato “NO Dal Molin”. Non ultima quella realizzata il 14 settembre 2008 in cui sono accaduti incidenti e scontri con le forze dell’ordine che hanno caricato i manifestanti che, in atteggiamento pacifico, seduti in terra, senza alcuna arma, esprimevano solo il loro dissenso. Sono stati caricati più volte senza distinzione, compresi donne e bambini, una violenza gratuita ed inaudita. E stata cercata una mediazione con il Vicequestore, con il Comune che non è intervenuto in alcun modo.
Il loro unico “errore” è stato quello di voler costruire una simbolica torretta davanti alla base USA (con tutti i permessi chiesti ed ottenuti da Comune e Questura), per sorvegliare che i lavori non iniziassero o che venisse fatto alcunché di nascosto.
Ora, la questione da sollevare non è se si è favorevoli o meno ad ampliare la base, ma ben più grave: le violenze subite dai cittadini che manifestavano una loro opinione in maniera tranquilla! Dov’è finita la democrazia che la Costituzione ci ha insegnato e i politici decantano con tanta faciloneria? Dove sono andati a finire i diritti che possiamo esercitare? A quanto pare ci toccano solo doveri, dare...dare…dare… siamo un popolo di donatori, che riceve pochissimo o nulla in cambio, ma i donatori hanno già esaurito le riserve.
Sono più di 35 milioni di essere umani che percorrono attualmente il nostro pianeta, recando un fardello insopportabile: sono i profughi dei quali chi vive nel benessere facilmente si dimentica.
In questi ultimi 20 anni, precisamente dopo il crollo del muro di Berlino, il disfacimento dell'impero Sovietico e la prima e la seconda guerra del Golfo, molte cose sono peggiorate, basti pensare alla guerra che c'è stata nell'ex Jugoslavia, ai conflitti permanenti in corso sia nel continente nero dalla Somalia al Ruanda, sia in Asia, dalla Cecenia allo Srilanka, e alle repressioni del governo turco e di quello iraniano nei confronti della popolazione curda, oppure alle immigrazioni di massa dei poveri del Sud del Mondo verso i paesi ricchi.
Gli spostamenti in massa di popolazioni si possono dividere in due grandi categorie. Da una parte quelli che sono la diretta conseguenza della violenza dell'Uomo, della sua volontà di dominare, della intolleranza verso i suoi simili. Rientrano in questa importante categoria in particolare gli spostamenti dei rifugiati, cioè di quegli individui la cui vita o libertà sarebbe in pericolo se fossero costretti a ritornare nel loro Paese di origine. Dall'altra parte ci sono invece gli esodi che sono la conseguenza di calamità naturali, di sottosviluppo, di povertà ma anche di catastrofi ecologiche. In questo caso le popolazioni in fuga non sono costituite da rifugiati in cerca di asilo, ma più semplicemente da essere umani in difficoltà che hanno bisogno di aiuto.
Può sicuramente ammettersi che sia nell'uno che nell'altro caso, la gente è obbligata a lasciare il proprio Paese per una questione di sopravvivenza. Non è sempre facile isolare una causa precisa di fuga dei rifugiati, poiché i motivi che inducono le persone a fuggire sono generalmente molto complessi. L'esodo può avere per causa diretta una persecuzione individuale, un conflitto armato, ma anche una campagna di repressione d'ordine politico, economico, etnico o religioso; minimo comune denominatore è l'assenza o l'inefficacia del sistema di protezione nazionale, a volte responsabile diretto della situazione di crisi.
La grande maggioranza di rifugiati, oggi, non cerca di fuggire da atti di persecuzione individuale, pur tuttavia ancora presenti, ma dalla violenza generalizzata contro la popolazione civile, e dal radicale decadimento delle condizione di vita quotidiane che ne consegue. Nelle economie di quasi sussistenza, i conflitti violenti arrestano la produzione ed impediscono la distribuzione di generi alimentari. Le conseguenze sono spesso drammatiche: carestia ed epidemia sono infatti pericoli ancora più gravi dello stesso conflitto armato, e determinanti per lo spostamento d'intere popolazioni.
Anche cause di ordine ecologico, per cui Paesi sottosviluppati vengono utilizzati come discariche di materie nocive, possono contribuire ad acutizzare la angoscia delle popolazioni. In effetti l'erosione del suolo, la siccità ed altri problemi ambientali, sono comuni, ad esempio, a gran parte del continente africano, continente dove, con il 10% degli abitanti del pianeta, si conta il 30% della popolazione mondiale di rifugiati. In casi estremi, come nel caso del Kurdistan sia nella parte irachena che quella turca o iraniana, la distruzione dell'ambiente naturale (ad esempio la distruzione totale di ottomila villaggi con tutta la loro vegetazione e con la chiusura dei bacini naturali per rifornimento dell'acqua) è stata impiegata, deliberatamente, come arma di guerra contro la popolazione curda.
Tra le varie forme di conflitto esistente, quello etnico è divenuto, negli ultimi anni, la causa principale di fuga dei rifugiati. Naturalmente, pochi Stati moderni sono etnicamente omogenei: esistono infatti, almeno 5mila gruppi etnici diversi, all'interno dei 192 Stati indipendenti che esistono oggi nel mondo, quindi il progetto di una eventuale costituzione di entità statali etnicamente pure, risulta palesemente improponibile. Ciò nonostante, le tensione di tipo etnico si prestano fin troppo facilmente ad essere strumento di talune fazioni, desiderose di estendere la propria influenza.
Il conflitto etnico diviene, poi, probabile quando un solo gruppo detiene le leve del potere e se ne serve per favorire i propri interessi, a detrimento di quelli di altre componenti della popolazione nazionale. Per esempio quello che era successo nell'ex Jugoslavia: la popolazione di origine albanese del Kosovo non ha avuto alcun riconoscimento in una visione ultra-nazionalista di una "Grande Serbia" cristiano-ortodossa. Non sempre, inoltre, i gruppi dominanti hanno avuto il consenso della maggioranza. E' il caso del Sud Africa, dove per anni la pratica dell'apartheid ha escluso la popolazione nera dai diritti di cittadinanza, è un esempio emblematico al riguardo.
Violazioni gravi e massicce dei diritti umani, accompagnate da una flagrante mancanza dello Stato dall'obbligo di difendere i propri cittadini, costituiscono ancora la causa principale di fuga di molti rifugiati; assassinii, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni, infatti, hanno un profondo impatto sulla popolazione ed alimentano la spirale di paura e violenza che spingerà la gente a cercare rifugio presso i paesi vicini.
Garantire il rispetto dei diritti umani quindi, è il migliore modo per eliminare le cause che costringono i rifugiati all'esilio.
E’ ormai un dato di fatto che gli Italiani non riescono più a rientrare nel budget mensile familiare. Le spese aumentano giorno per giorno e lo dimostra il continuo rialzo del prezzo del petrolio che sta tagliando le gambe, già abbastanza tremule, dell’economia italiana. Tutto costa troppo e la cinghia più stretta di così non può essere tirata, si rischia un nuovo 1929, nessuna categoria è esente da questa grave crisi che può diventare ancora più pesante se non ci si appresta a fare qualcosa di concreto. A rischio anche la nostra alimentazione.
Noi CITTADINI ATTIVI sosteniamo con favore il progetto di “vendita diretta” che gli Enti Locali stanno promuovendo. In sintesi è la vendita diretta dei prodotti dei coltivatori sui mercati cittadini. Naturalmente questo farebbe accorciare la filiera ed incoraggerebbe la vendita dei prodotti locali; il passaggio dal produttore al consumatore ridarebbe fiato ai bilanci dei produttori agricoli, ma non meno di tutti se ne avvantaggerebbero gli stessi consumatori: un aiuto a far quadrare i conti delle famiglie.
Il progetto rilancerebbe la piccola economia consentendo di consumare prodotti freschi e sani. La proposta in cantiere è quella di riservare un 20% dei posti nelle piazze per la vendita diretta, ma alcune categorie storcono il naso di fronte a questa iniziativa. Riteniamo che in questo momento non sia proprio il caso di fare gli schizzinosi. Se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo cooperare per il bene di tutti, non pensare ai vantaggi che alcuni vorrebbero trarre dalla speculazione incontrollata a danno delle famiglie.
Siamo davvero alla frutta?
Finalmente! Bene ha fatto il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta ad avviare la cosiddetta ”Operazione Trasparenza” con la pubblicazione, in internet, di tutte le “consulenze” degli Enti Pubblici che operano sul territorio, trasparenza che da tempo noi “CITTADINI ATTIVI” chiediamo, non solo nella pubblica amministrazione, ma anche nei partiti, in quanto entità riceventi il rimborso elettorale (finanziamento pubblico) che ammonta a circa 200 miliardi del vecchio conio all’anno - per un totale di circa 1000 miliardi di lire (!) - per una legislatura, intera od interrotta che sia.
Non capisco perciò la perplessità di quei Sindaci, Presidenti di Provincia o Governatori che oggi si oppongono alla nostra proposta di avviare commissioni bypartisan di verifica e controllo delle spese in consulenze esterne effettuate durante le ultime amministrazioni. E’ un dovere istituzionale verso il cittadino, ora sempre più in difficoltà a raggiungere la fine del mese, che ha il diritto di sapere come viene impiegato il suo denaro, ed ogni Amministrazione si deve sentire onorata nel poter dimostrare di saperlo fare al meglio.
L’importante non è vedere chi più spende ma chi spende meglio senza ridurre i servizi sociali ai cittadini o aumentare loro le tasse, senza dover, per esempio, asfaltare il verde pubblico a nuovi parcheggi solo per rimpinguare le “casse” del Comune.
I politici si affannano a precisare che non erano “consulenze” ma solo “collaborazioni”, “incarichi”, “assegnazioni” od altro, operando così un sottile distinguo che serve solo a confondere le idee al povero cittadino. In realtà si è speso denaro pubblico per incarichi esterni forse non valorizzando opportunamente la professionalità delle migliaia di pubblici dipendenti, in gran parte dotati di grande dedizione e voglia di fare.
Quale criterio adottare per valutare con imparzialità le spese effettuate? Noi proponiamo che, oltre agli importi, si rendano pubbliche, al singolo cittadino, anche le relazioni redatte a consuntivo di ogni singolo impegno di spesa. Il cittadino avrà così modo di verificarne i risultati sul territorio e si sentirà responsabilizzato nel pagare le tasse. La pubblica Amministrazione, invece, si sentirà stimolata nel gestire con responsabilità ed al meglio il frutto della quotidiana fatica dei suoi concittadini.
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