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“Arrendetevi!” con questo ultimatum Ignazio Messina, segretario dell’Italia dei Valori ha chiuso i lavori del convegno annuale IdV, svoltosi a Sansepolcro (AR) dal 3 al 5 ottobre 2014, un avvertimento davvero per nulla originale. Era infatti il 22 febbraio 2013 quando Grillo, dal palco di Piazza San Giovanni in Roma, rivolto alla “casta” dei politici urlava "…per questa gente è finita…" aggiungendo che “…sono sconnessi da ogni cosa. Arrendetevi. Siete circondati!”. Ma contrariamente a Grillo, Messina non si rivolge alla classe politica bensì a quelli che vorrebbero “bucare le ruote di IdV” perché sappiano bene che “… le ruote della nuova IdV sono corazzate…” chiarendo che “…andrò io personalmente sul territorio per sputtanare tutti quei delinquenti che mettono a repentaglio il nostro lavoro…”.
E’ l’epilogo di una tre giorni nell’ambito della quale si è consumato il definitivo (?) divorzio della nuova IdV dal suo padre (padrone) fondatore, quell’Antonio Di Pietro acclamato eroe di Mani Pulite, tenace combattente della tangentopoli in pura salsa italiana, vizietto duro a morire come i più recenti casi Expo e Mose dimostrano ancora una volta. Un tragico epilogo condito da tensioni, scontri e veleni tra i partecipanti in sala. L'ex presidente rivendica un ruolo nel rispetto della sua storia e della sua dignità di fondatore dell’IdV, la dirigenza gli rimprovera errori del passato e del presente chiudendogli ogni spazio e ogni possibilità di dialogo, il figlio Cristiano Di Pietro, per protesta, annuncia al microfono le sue dimissioni da IdV (nella enorme X rossa che, sul palco, campeggia al centro dello slogan “Valori X l’Italia” intravvede la precisa volontà di annientare la figura del padre).
Nelle settimane precedenti l’assise, l’ex presidente aveva inviato agli iscritti ben tre lettere personali nell’ambito delle quali tracciava la sua proposta di linea politica: “dobbiamo riprenderci la nostra autonomia rispetto al PD, abbandonare la nostra struttura partitica tradizionale ed infine tornare ad essere un movimento di opinione indipendente”. Appare chiara l’accusa rivolta alla dirigenza IdV di collocare il partito in una posizione subordinata rispetto al PD di renziana fattura.
E il buon Messina, nel suo intervento conclusivo si prodiga assai nel precisare che “…IdV è sulla strada giusta, che ora abbiamo riconquistato la nostra credibilità, che non siamo subordinati a nessuno e solo i nostri detrattori lo dicono…”. A dimostrazione di ciò elenca tutta una serie di temi (il referendum sulla legge Fornero, l’introduzione del reato di autoriciclaggio, l’anticipo del TFR in busta paga, la patrimoniale sui grandi patrimoni, la legge contro la violenza sulle donne, l’indicazione a sforare il 3% del rapporto deficit/pil ecc. ecc.) sui quali IdV, dice, si rende protagonista di progettualità nel centrosinistra perché “…su dieci nostre idee, quattro potrebbero essere accolte…” manifestando poi, al vicesegretario PD Lorenzo Guerini il suo disappunto perché sullo “…sblocca lavoro il PD ci ha fregato, ci ha copiato l’idea…”.
Il segretario però non convince, non riesce a sgomberare il campo dal dubbio che IdV si appresti a diventare un partito satellite del PD rinunciando così alla sua identità politica, mutuando in tal senso l’esperienza del PSI di Riccardo Nencini. Lui vorrebbe “… costruire un campo largo nel centrosinistra...” e a chi gli chiede se ora IdV si affiancherà a SEL ed altri soggetti politici e sindacali nella difesa dell’art. 18 “… dico che noi invece siamo per costruire coalizioni, non per dividere, noi siamo l’Italia dei Valori…“ e ricorda che “…il vice-segretario Guerini, il giorno prima, aveva detto chiaramente che il PD privilegerà la coalizione…” A dimostrazione di ciò fa notare che “…gli ospiti si sono disinteressati della nostra percentuale elettorale (0,66% alle ultime elezioni europee, ndr), sono venuti qui perché volevano sentire le nostre idee, noi IdV dobbiamo avere il coraggio di costruire, nel rispetto della nostra identità e senza subordinazione…”.
E sta tutto qui il nodo politico, la contestazione che l’ex presidente Di Pietro e una parte della base del partito sollevano alla neo dirigenza: l’opportunità politica, per IdV, di condividere un percorso con il PD che ora, per scelta di Matteo Renzi e complice il “Patto del Nazareno”, è accusato di “inciucio” con l’acerrimo nemico di sempre, il Cavaliere di Arcore.
E un tenace militante, venerdì sera molto tardi, erano già passate le 21.15, a nome di un gruppo di iscritti, al microfono si è sgolato per evidenziare il pericolo derivante da quest’abbraccio mortale ma, purtroppo, ha parlato di fronte ad una sala totalmente vuota e priva di qualsiasi alto dirigente del partito. Nessuno lo ha ascoltato, i più avevano le gambe già sotto il tavolo. Purtroppo non era membro dell’esecutivo nazionale e quindi, nel pomeriggio, non aveva potuto parlare perché non avente diritto di parola.
Stupisce inoltre, l’atteggiamento assolutamente compassato, quasi di indifferenza, nei confronti del loro ex Presidente Antonio Di Pietro, di alcuni degli uomini che erano stati a lui più vicini (Uggias, Zipponi, Palomba…). Nel salone, inoltre, si intravvede solo uno dei quattro candidati al recente congresso di IdV, Nicola Scalera, in posizione assolutamente defilata e deluso per la mancata cooptazione in segreteria nazionale quale espressione, dopo l’uscita di Nicolò Rinaldi, della minoranza del partito. Sabato 4 ottobre invia una lettera aperta al segretario Ignazio Messina nella quale, tra le tante cose spiega che “…purtroppo una gestione arroccata su se stessa non si è smentita in questa che non è l’unica occasione: belli i discorsi dai palchi ma questi discorsi oggi non hanno nessuna credibilità verso la gente comune (che non siano “amici degli amici”) se i discorsi non sono accompagnati da un reale cambio nelle modalità di gestione…”.
Sarà anche così però, oggettivamente, la scelta operata dal partito di far partecipare, in qualità di esponente politico, a sette degli otto “panels”, (così definiti i dibattiti organizzati per il convegno dal sempre ottimo coordinatore Ivan Rota) un rappresentante del PD (l’ottavo partecipante, il sottosegretario Zanetti, è un tecnico di Scelta Civica), non aiuta certo a sgomberare il campo dal dubbio della subordinazione. Ed è lo stesso Guerini che, al microfono, quasi avvalla questa tesi quando confessa di essersi, per vari mesi, incontrato proprio con Messina per preparare quest’appuntamento autunnale. Va rilevato che il presidente Antonio Di Pietro non è stato coinvolto, dagli organizzatori, in alcun dibattito, nemmeno su un tema a lui caro, la giustizia(!) e in un filmato auto-celebrativo, proiettato durante i lavori, composto da numerose foto ritraenti momenti di vita del partito, in oltre il 60% compariva il segretario Messina, in nessuna Antonio Di Pietro.
Ed è proprio il meccanismo che regolerà i futuri rapporti tra partiti in coalizione (le famose soglie di sbarramento) ora in discussione con l’Italicum in Parlamento, il nervo scoperto tra l’IdV e un PD notoriamente proiettato, da Renzi, verso una visione del quadro politico essenzialmente bipolare se non addirittura bipartitica. Guerini su questo ha le idee chiare perché “… noi vogliamo una legge elettorale che assicuri governabilità attraverso un premio di maggioranza che superi la frammentazione del sistema politico attuale…” Sarà perciò possibile rivedere sia la soglia di accesso al premio di maggioranza (al 40%?, ndr) che la soglia inferiore (non dichiarata, ndr) per i soggetti che si presentano in coalizione “…con la consapevolezza però che, in una democrazia bipolare, occorre trovare un punto d’incontro tra le esigenze di rappresentanza e le esigenze di governabilità..” e qui Messina subito, con un guizzo degno del miglior Paolo Rossi, lo interrompe e, rivolgendosi al suo pubblico che iniziava a rumoreggiare, sottolinea la possibile apertura sulla soglia di sbarramento: “…guardate, l’ha detto!…rivedere la soglia di sbarramento…” e poi rivolto al vicesegretario PD “…ora bisogna passare dalle parole ai fatti!..”. Guerini, imperscrutabile, con perfetto aplomb inglese, invece così conclude: “…non ha senso fare una legge elettorale che garantisca la rappresentanza dello 0,2%, su questo il PD non farà mai un passo indietro…”. E qui forse casca l’asino….
Si coglie bene nell’argomentare di Ignazio Messina – scambiato domenica, con una clamorosa gaffe, dal giornalista Attilio Romita con Ignazio Marino, sindaco di Roma - la sua pervicace volontà di infondere sano ottimismo alla sala, di voler disegnare per il partito un futuro rosa: “…dopo un periodo buio cominciamo a vedere qualche risultato, la luce…” afferma ai microfoni di Canale Italia il segretario regionale del Lazio Salvatore Doddi. Messina nelle sue riflessioni politiche vuol partire “…sempre dal bicchiere mezzo pieno…” e quindi l’Italia dei Valori ”…non deve guardare all’asticella (la soglia di sbarramento elettorale, ndr) ma al progetto del nuovo centrosinistra…” quasi a prefigurare un tacito accordo col Partito Democratico che potrebbe prevedere, per qualche esponente IdV, comunque un diritto di tribuna nelle liste elettorali dei progressisti - come fu per il partito radicale alle elezioni politiche del 2008 – nella malaugurata ipotesi che l’Italia dei Valori non riuscisse a superare la decidenda soglia di sbarramento per i partiti alleati in coalizione.
Nei vari passaggi e nei diversi interventi non sono poi mancati, da gran parte degli intervenuti, riferimenti più o meno espliciti al recente passato di Italia dei Valori, al suo ex presidente Antonio Di Pietro e alla new-wave che investe il partito del gabbiano.
Rompe il ghiaccio Giuliano Giubilei, giornalista del TG3, che, presentando il suo dibattito, annuncia che “…di fatto, oggi si apre un confronto tra il partito democratico e l’italia dei valori…con una nuova IdV proiettata verso il PD…” perché “…nel passato ci sono stati, tra IdV e PD, vari deficit di comunicazione…” (Guerini) oltre a “…momenti di costruzione e distruzione del dialogo con il PD…” (Messina). Ora “…IdV ha scelto di non essere una forza antisistema ma di dare il suo contributo al sistema…” (Paolo Liguori, giornalista Mediaset) e quindi “…il nostro cammino di questi giorni è proporre, contestare ma proporre, questo è il nostro progetto…” (Messina). Nel passato “…da entrambe le parti sono stati commessi errori reciproci, errori di percorso, e così – indicando il segretario Messina - ci siamo privati di qualificata intelligenza e rettitudine nella commissione antimafia…” e “... sentendo ora il vostro segretario mi sono convinta una volta di più come sia opportuno dare rappresentanza parlamentare alle forze politiche…” (Rosy Bindi).
Dura la chiosa finale del segretario Messina “…siamo il partito della legalità ma siamo finiti sotto il marciapiede perché abbiamo violato la legge, e quelli che son qui non l’hanno mai fatto… siamo schifati dai nostri errori che non vogliamo più commettere!...”.
E’ un’Italia dei Valori che addirittura rompe col passato, si affranca da nomi illustri che a torto o a ragione, l’hanno rappresentata. Messina non si fa scrupoli nel condannare pubblicamente la posizione assunta dal sindaco di Napoli, in quota IdV, Luigi De Magistris invitandolo alle dimissioni chiedendosi “…ma come fa un sindaco condannato in primo grado a dire ad un suo concittadino di rispettare la legge?...”. Così come il pensiero della maggior parte dei presenti in sala va all’ex europarlamentare IdV Sonia Alfano – non citata però da Messina - ora “Presidente della Commissione Antimafia europea” (così si legge sul suo blog de IlFattoQuotidiano.it), quando il segretario, parlando di lotta alla mafia dice “… dico mafia e, preciso, lotta alla mafia e non invece antimafia perché purtroppo esiste anche un’antimafia salottiera fatta solo di convegni e nulla di più…”. Cadono dei miti che al tempo, alle penultime elezioni europee, apportarono moltissime preferenze al partito.
E se a Rosy Bindi – che un grido dal parterre definisce più a sinistra di Renzi (“…questo non è difficile…” risponde lei sorridente) - il segretario vorrebbe consegnare la tessera IdV per le sue idee che lei stessa definisce “giustizialiste” verso un Paese che giudica non più normale per quanto non fa in merito a leggi contro l’autoriciclaggio, il falso in bilancio, la corruzione, l’evasione fiscale ecc. ecc., a qualcun altro (Antonio Di Pietro?) che oggi si dimostra così amante del Circo Massimo, Messina propone di regalare invece una bella biga. La “pasionaria” ringrazia, dichiara di prendere volentieri la tessera IdV anche se “…faccio già parte dei centomila (?) tesserati del PD…” in questo rinverdendo la recente polemica, che ha investito il premier Renzi sull’incredibile calo del numero dei tesserati del PD, Presidente del Consiglio che lei non perde occasione di attaccare dal palco dipietrista criticando il suo decisionismo che definisce a due velocità “…forte con i lavoratori e debole con gli evasori fiscali…”.
Era il lontano 21 marzo del 1998 quando, a Sansepolcro, duecentocinquanta persone tra parlamentari e cittadini, s’impegnavano a dar vita e corpo al progetto politico chiamato “Italia dei Valori” e, ironia della sorte, è sempre a Sansepolcro che, sedici anni dopo, cioè sabato 4 ottobre 2014, quel progetto politico, così come lo aveva ideato il suo fondatore, si chiude miseramente.
Durissimo è infatti l’attacco portato all’ex presidente dall’attuale dirigenza, un attacco pesante, sul piano personale. A lui, un giovane dirigente di 27 anni di Taranto, Luciano Pisanello, visibilmente alterato e contrariato, con gli occhi che dimostravano tutta la sua sofferenza interiore, al microfono rimprovera una serie di atteggiamenti ambigui avuti nelle ultime settimane, contrari al “manovratore”. All’ex magistrato Pisanello contesta di essersi contornato di persone sbagliate, di “yesman” che hanno massacrato la base più giovane e più idealista del partito senza che lui intervenisse. Gli ricorda che uno di questi suoi accoliti, tre anni fa, gli fece, in pieno viso, il segno di croce, come si fa ad un defunto. “…Vuoi il mio ruolo? Posso tranquillamente lasciartelo domani mattina, prenditelo!...” dice Pisanello con rabbia a Di Pietro che considerava come suo “nuovo” padre, lui che lo aveva perso molto presto, “padre” al quale ora invece è costretto a dire “…meglio non avere padri che ti ostacolano, pensaci!...” .
Non meno incisivo è il richiamo del neo segretario Messina che rimprovera a Di Pietro di non essersi reso disponibile per il partito, di non aver voluto sostenere il nuovo corso, di voler continuamente mettere in discussione la linea politica decisa all’ultimo congresso, di non aver manifestato di fronte al Tribunale di Milano contro la corruzione all’Expo “…non aveva senso che andassi io (Messina, ndr) davanti al tribunale di Milano, tu invece, con la tua storia, sì…” e in quel mentre, con uno scatto da centometrista in barba alla sua età (64 anni), Di Pietro, correndo, si fionda sul palco, acchiappa il microfono e spiega che “…non l’ho fatto perché, data la turbolenza presente al Tribunale di Milano (ricordiamo che solo qualche giorno fa è avvenuto il siluramento del vice capo procuratore Robledo, ndr) mi avevano sconsigliato dal farlo perché temevano che la mia persona avrebbe potuto politicizzare il tutto…”.
Di fronte però all’affermazione che “… la tua grande storia vale quanto tutte le altre piccole storie di questo partito…” l’ex “matador” non ci sta più e, se poco prima aveva chiarito che si rendeva disponibile a lavorare per il partito, che considerava alla stregua di un figlio, ora invece annuncia che “…data la situazione non credo di poter fare qualcosa per IdV…” e, ad un invito che giunge dalla sala, risponde “…sì certo, domani mattina consegnerò le chiavi…domani, il tempo tecnico per farlo…”.
Ed infatti, la mattina dopo, sabato 4 ottobre 2014, egli si presenta in sala Congressi per adempiere a quanto aveva promesso la sera prima. Se il neo segretario Ignazio Messina, terminato il “panel” con il vice segretario del PD Lorenzo Guerini, si trova in quel momento, con l’ospite, in conferenza stampa su un lato del salone, illuminato a giorno dalle luci delle numerose telecamere e fari, attorniato da svariati microfoni, smartphone e registratori branditi dai giornalisti accreditati al convegno, dall’altra parte, a soli cinque metri di distanza, si trova il “vecchio” presidente, col suo borsone stretto in mano, che guarda, da lontano, la conferenza stampa, il viso che tradisce una forte commozione ed una sofferenza interiori, anche lui sì illuminato…, ma solo dalla fioca luce del cellulare di qualche affezionato sostenitore che gli chiede, con il cuore in mano ed infinita stima, un ultimo “selfie”...
“…Esce Di Pietro, entra Rosy Bindi…” scherzando, il giornalista della RAI, Attilio Romita, prova ad ipotizzare il titolo dei giornali del giorno dopo. Certo è che, in quel momento, a Sansepolcro, i presenti in sala non sanno se veramente Rosy Bindi prenderà o meno la tessera IdV. Di sicuro però sanno che il loro prestigioso presidente, il magistrato Antonio Di Pietro, con passo mesto ed incerto, sta scendendo le scale del Borgo Hotel Palace, lascia il partito, non appartiene più alla (sua) Italia dei Valori…
Armando Della Bella
giornalista iscritto all’Ordine
Copyright © Sansepolcro (AR), 5 ottobre 2014
Con settembre si chiude il periodo dell’anno dedicato alle ferie. Ebbene quest’anno la metà' degli italiani non è andata in vacanza. Così, se nel 2010 la percentuale dei vacanzieri sfiorava l'80%, quest'anno la stessa frana al 58%, causa la crisi. Nel primo semestre 2013 l'occupazione si è ridotta di 407 mila unità (-1,8%). A fine giugno scorso, il numero dei lavoratori occupati (22,5 milioni circa), ha raggiunto il valore più basso del secolo, mentre il tasso di disoccupazione ha toccato il livello record del 12,2% - per la prima volta superiore alla media europea (12,1%) - con oltre tre milioni di senza lavoro. Numeri importanti per le donne (12,9%) e per i giovani la cui media tocca il 39,1%. In Italia meno di due lavoratori dipendenti su 10, nel settore privato, sono laureati, contro una media europea di 3 e punte di 4 su 10 in Gran Bretagna e Spagna. E tra i lavoratori italiani dotati di laurea, molti svolgono attività che richiedono competenze minori, un fenomeno, questo, in forte aumento.
Sono 15,7 i miliardi che lo Stato ha deciso di anticipare per pagare i debiti alle imprese, sui 20 previsti nel 2013, su un totale stimato dalla Banca d’Italia pari a 91 miliardi (media per impresa 422.287 euro) decisione presa col “Decreto del fare” con il quale però sono anche stati decisi gli aumenti al 101% degli acconti Irap e Ires. La PA italiana paga, in media,con 180 gg di ritardo quando Paesi in peggiori condizioni - Grecia (168)e Spagna (153) - fanno meglio di noi. Una delle conseguenze è la migrazione delle aziende, ad esempio quelle del Nord-Est verso la Carinzia. Fino ad oggi 312 insediamenti sono stati accompagnati oltre confine con la creazione di complessivi 5.700 posti di lavoro cosa del tutto comprensibile alla luce del fatto che la pressione fiscale complessiva sulle imprese è pari al 53,10% in Austria, al 34,70% in Slovenia e al 68,30% in Italia. In Italia si sono imposte tasse che non hanno avuto un impatto positivo per l settore produttivo dell'economia e allo stesso tempo non si è tagliata abbastanza la spesa. La classifica della competitività per sistema-Paese vede la Germania al 20° posto, la Francia al 34°, la Spagna al 44° e 'Italia addirittura al 73° posto, ben lontana dalla Spagna, con un rapporto debito/PIL che sfiora il 130% secondo, nella UE, solo alla Grecia (160%).
Il 14 agosto 2013 è stato il giorno dell'uscita dalla recessione per l’eurozona: Germania +0,7%, Francia +0,5%, Finlandia+0,7%, Portogallo +1,1%. Fuori dell’eurozona, la Gran Bretagna segna un +0,6%. Resta indietro l'Italia il cui Pil, nel secondo trimestre, e' invece calato ancora dello 0,2%.
Solo in Italia, una società, la Apple, nonostante nel 2012 abbia raddoppiato le vendite, riesce a far registrare un rosso di 11,5 milioni in forza del quale, non solo lascia a secco il fisco italiano, ma addirittura matura un credito di 2,5 milioni mentre in Irlanda macina miliardi di profitti sottoposti ad aliquote fiscali irrisorie. La Corte dei Conti rivela che la sottrazione di base imponibile Iva, nel 2011, ammonta a circa 250 miliardi, con una conseguente perdita annua di gettito dell'ordine di circa 46 miliardi (28% del gettito potenziale). Da gennaio a oggi la GdF ha scoperto 4.933 evasori totali. Hanno nascosto redditi per 17,5 miliardi di euro mentre nei primi sei mesi del 2013 il dato dell'evasione contributiva accertata,pari a oltre 260 milioni, e' più' che raddoppiato (+117%). Nel contempo, sempre in Italia, continua a crescere l'imprenditoria cinese. Nel 2012 hanno superato le 62.200 unità, +34,7% rispetto al 2008 e la Cgia di Mestre precisa che «buona parte di queste attività si sono affermate eludendo gli obblighi fiscali e contributivi e aggirando le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro».
In questo contesto, le principali preoccupazioni della classe politica italiana di questi ultimi mesi sono state l’agibilità politica del Presidente Silvio Berlusconi e la presunta mancanza della casella prigione nel gioco del “Monopoli”.
Armando Della Bella copyright © agosto 2013
Dal 2012 al 2013 i salari reali hanno perso circa 500 euro. Una diminuzione dell’1,9% in media per i lavoratori dipendenti che implica un calo del potere d’acquisto delle famiglie. Lo stipendio annuo medio va così dai 25.130 euro del 2012 ai 24.644 euro nel 2013. Però il calo più forte dei salari riguarda i dipendenti della Pubblica Amministrazione, con ben 1200 euro in meno. Tra il 2009 e il 2012 le retribuzioni reali dei dipendenti pubblici hanno perso in media quasi 2.000 euro (da 32.654 a 30.765). Queste erano le premesse all’avvio del nuovo governo Letta, il governo delle “larghe intese”.
Ebbene chi si aspettava la famosa frustata all’economia, la cura choc per lo sviluppo, non può che mostrarsi deluso. La Legge di Stabilità, varata nelle scorse settimane dal governo Letta, destina al capitolo che doveva rappresentare il cuore della manovra, il taglio del cuneo fiscale 10,6 miliardi, cinque miliardi di tasse in meno sui lavoratori e 5,6 «abbonati» alle imprese. In tre anni però, questo è il punto dolente. Secondo quanto poi chiarito dal premier, si tratta di 2,5 miliardi per il 2014, di cui 1,5 a vantaggio dei lavoratori e uno per le imprese.
Stando così le cose i tagli per lavoro e impresa sarebbero pari a poco più di tre miliardi di euro l’anno. Molto meno di quanto richiesto da Confindustria, Sindacati e le PMI. Il che si tradurrà in un vantaggio in busta paga che arriverà al massimo a 14 euro al mese, circa 200 euro lordi l’anno, spalmato su tutti i lavoratori dipendenti con reddito fino a 55mila euro lordi.
Pochino davvero, un'elemosina hanno detto molti, sicuramente uno sforzo inutile per rilanciare consumi ed economia. Sì lo sappiamo, la coperta è cortissima e i buchi nel bilancio dello Stato sono enormi, ma non è certo con questi spiccioli che si risolleveranno i consumi delle famiglie, sprofondati ai livelli di 13 anni fa, né che si rimetterà in moto il sistema produttivo e si avvieranno i consumi. Piaccia o no, per uscire dalla crisi e agganciare la ripresa, oggi come oggi, pare che non si possa contare sull’aiuto della politica. «Speravamo in una scossa in grado far ripartire il motore in panne dell’economia. Questa è solo una piccola scintilla», commentavano le rappresentanze delle aziende, piccole e grandi, da Confindustria a Confcommercio e la Corte dei Conti osservava che sussistono «rischi ed incertezze» sulla modalità di intervento che comportano «evidenti problemi distributivi e di equità», poiché esclude dal beneficio 25 milioni di soggetti.
Ciliegina sula torta è l’affermazione del premier che precisa che saranno il Parlamento e le parti sociali a decidere come, in concreto, usare le risorse per il taglio delle tasse a imprese e lavoratori. Da qui la netta accusa di mancanza di responsabilità lanciata dalle stesse parti sociali al governo. Volendo essere maligni, quella dell’esecutivo è una scelta "pilatesca". Il governo è come se si lavasse le mani della questione: «Spetta al Parlamento definire la platea dei destinatari nell'intervento della legge di stabilità sul cuneo fiscale con l'obiettivo di rendere ''più incisivi'' gli effetti del provvedimento». E allora che fare?
Nel frattempo dal 2007 al 2012 il numero di individui in povertà assoluta in Italia è raddoppiato, passando da 2,4 a 4,8 milioni. Contestualmente è' ulteriormente peggiorato l'indicatore di grave deprivazione materiale che e' raddoppiato nell'arco di due anni. Nel primo semestre del 2013 il 17% delle famiglie dichiara di aver diminuito la quantità' di generi alimentari acquistati e di aver scelto prodotti di qualità' inferiore, 1,6% in più' rispetto allo stesso periodo del 2012 e 4,9% in più' dei primi sei mesi del 2011.
E non saranno certo 14 euro in più al mese quelli che possono cambiare questa vita….
Armando Della Bella copyright © ottobre 2013
«Sai contare? Sai camminare?» «Si! Penso di si!» «Allora forza! Conta e cammina! dai... 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8... 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99 e 100!» Cento sono i passi che servono a Cinisi (PA) per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti ed è sulle note della canzone “I cento passi” ispirata all’omonimo film di Marco Tullio Giordana che il nuovo segretario politico Ignazio Messina apre e chiude, a Sansepolcro (AR), il primo incontro della nuova Italia dei Valori post congresso, un appuntamento che, a fine giugno scorso, si rivelò assai combattuto, lacerante, condito da sospetti di brogli elettorali e tesseramenti troppo facili.
Riuscirà il buon Messina a traghettare il partito verso la sponda del pidimenoelle, a percorrere i cento (mille? un milione?) passi verso un nuovo dialogo col centrosinistra, così come più volte auspicato dal palco? Difficile dirlo, anzi difficilissimo, quasi impossibile se il futuro leader dei progressisti sarà, come assai probabile, l’ex boy-scout Matteo Renzi. Saranno anche cento i passi da fare, ma politicamente son passi del gambero. Nel frattempo cambia il simbolo, sparisce il nome Di Pietro, il gabbiano viene liberato dal “cerchio magico” che gli impediva di volare alto e compare nel logo il vessillo nazionale quale richiamo alla Costituzione.
E Di Pietro? Dopo i saluti iniziali del neo tesoriere del partito Ivan Rota, molto abile nel gestire il microfono al punto tale da far impallidire il sempre abbronzato Carlo Conti, proprio al presidente onorario tocca dare il la alla parte politica. Il suo è un mea culpa a tutto tondo, sono stati commessi errori di cui si assume la responsabilità, la sua è una virata di 180° gradi «dobbiamo uscire dal mero settarismo protestatario, l’Italia dei Valori non può più presentarsi al Paese in nome di una persona sola», parla di un partito che ha setacciato “traditori e venduti” – «erano entrate delle persone per farsi gli affari suoi, persone non sempre scelte nel modo giusto» - perché ora «chi sta di qua è perché ci crede», rivendica il suo ruolo di semplice iscritto e confessa, con umanità, «che prima o dopo le forze ti lasciano». Eppure la base del partito, composta nella prima ora in gran parte da neofiti della politica ma assai convinti dei “valori” fondanti il movimento, più volte aveva segnalato ai vertici dello stesso le epurazioni che i vari “mosconi verdi” (per dirla in dipietrese), spesso riciclati da altri partiti, operavano sul territorio. Ma tant’è, e ora ci si lecca le profonde ferite.
Ora, ammette il Presidente con tristezza e sofferenza, l’operazione Mani Pulite è consegnata alla storia, la bambina chiede alla mamma che si fa fotografare vicino a Di Pietro: «Mamma, ma chi è? Un attore?». Rilancia sui temi di sempre, dalla protesta alla proposta, la foto di Vasto per una vera alternativa di governo, la difesa della Costituzione, il partito di lotta ma anche di governo. In verità, nulla di nuovo, ma cavalli di battaglia più volte giocati dall’IdV sul parterre della politica. Un Di Pietro che, al microfono, con l’occhiale di trequarti, appare stanco, affaticato dopo quindici anni di attività politica sempre passati davanti alle sue truppe.
Ma ecco il colpo di teatro, il tono della voce sale, si rimbocca le maniche, l’occhio si illumina sanguigno, lo sguardo diventa istrionico, il Di Pietro di sempre esplode: appare un video, assai datato, dove Berlusconi dichiara che in politica i condannati per evasione fiscale dovrebbero farsi da parte. «Per la prima volta nella mia vita sono d’accordo con lui!» urla ad una platea che, in piedi, si spella le mani, salvo poi rinverdire la battaglia politica di sempre: «ma che Stato di diritto è quello che vota una sentenza?».
Dura per il nuovo segretario Messina superare l’identità del “padre padrone”. Ci prova snocciolando una sequenza di obiettivi politici su cui incanalare il partito, proclama concretezza, cerca l’applauso, blandisce il parterre «purtroppo non abbiamo cacciato a calci nel sedere chi se lo meritava!». Rispetto all’incendiario Presidente, egli appare al pari di un diesel. Vuole politicamente distinguersi dai grillini, che più volte, con ironia, chiama “surgelati”, però rivendica per il partito battaglie politiche che, in realtà, il M5S già sostiene in Parlamento, dalla difesa della Costituzione e dell’intoccabilità dell’articolo 138 al voto segreto al Senato sulla decadenza del Cavaliere, dall’inopportuna nomina di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale alla necessità di sottoporre a referendum popolare ogni modifica costituzionale.
Accusa Grillo di non aver dato vita al governo di centrosinistra, «di non aver chiesto (a Bersani ndr) almeno tre ministeri», perché «il loro congelamento ha prodotto Berlusconi al governo». Dimostra insofferenza per l’invasione di campo grillina e prova a smarcarsi chiarendo che il suo non «sarà mai un partito che va sui tetti» perché, chiarisce «noi le riforme le faremo in aula». Peccato che il popolo italiano ora l’Italia dei Valori, in Parlamento, non ce l’ha proprio mandata. Ma il plagio grillino non si ferma qui, ce n’è anche per chi dei suoi, tradito dalla debolezza umana, vorrebbe cogliere un po’ di visibilità in televisione: «consiglio a voi di non andare in TV dove si parla di scandali…». Purtroppo, continua Messina, «coi surgelati non cucini, devi aspettare che si scongelino e poi magari trovi che sono pure andati a male». Ma non sono solo i “surgelati” il nemico da combattere politicamente ma anche i referendum sulla Giustizia promossi dal Partito Radicale, fatta eccezione per quello sul rientro nelle funzioni proprie dei magistrati fuori ruolo.
Un partito, l’IdV, che ora soffre un isolamento mediatico anche se il segretario cerca di rassicurare i suoi affermando che «le trasmissioni televisive ci quotano, pensano che facciamo sul serio» e soffre anche un isolamento politico: nessun segretario di partito od esponente di primo piano presente al convegno, il Governatore della Sicilia Crocetta – la cui presenza era stata preannunciata - dà forfait, il PD e SEL si fanno rappresentare da due senatori (rispettivamente Donatella Mattesini e Loredana De Petris). I convenuti confidano almeno in una lettera di saluto da parte del segretario del PD Guglielmo Epifani, missiva che invece non arriva. La dura legge della politica, quando conti tutti a cercare di stringerti la mano… diversamente ti confinano forzatamente nell’oblio.
Il ministro Saccomanni è in difficoltà col Bilancio dello Stato? Il debito pubblico aumenta sempre più? Nessun problema, ecco la proposta di Messina per una manovra da 100 miliardi di introiti che passa dalla lotta all’esportazione di capitali alla riduzione delle pensioni d’oro, dal concordato fiscale con la Svizzera alla rinuncia all’acquisto degli F35, dalla riduzione delle auto blu alla confisca dei beni degli evasori, dalla vendita del patrimoni della criminalità organizzata all’utilizzo della moneta elettronica, dalla riduzione del 50% dei ministeri alla riduzione dei membri negli enti partecipati, dall’eliminazioni del vitalizio agli eletti alla introduzione dei costi standard nella PA. Nulla di nuovo sul fronte della lotta ai privilegi, agli sprechi e ai costi della politica. Eh sì però, chiosa, gli altri partiti «leggono solo i numeri della crisi e dormono, noi invece proponiamo…». E come mai, qualcuno sussurra in platea, tutti questi bei propositi non sono stati realizzati quando si stava al governo del Paese? Vallo a capire.
“Basta cesoie, costruiamo ponti” è il leitmotiv dell’incontro corollario del mantra “Lavoro, Lavoro, Lavoro, Lavoro, Lavoro” tema dell’assise. Ignazio, guardando fisso la sala, chiede agli iscritti «cosa vogliamo fare da grandi», che per un partito che ha già alle spalle quindici anni di attività e quattro legislature è un bel dire, non vuole essere «il segretario della sopravvivenza» e quello che per lui è certo è che «non andremo da qualche parte con le ginocchia piegate» quasi a rassicurare quella parte del partito che vede nell’operazione Messina la svendita del gabbiano al miglior offerente.
Sa che deve recuperare la base di un movimento che dal congresso esce distrutta e avvelenata, divisa in cinque correnti tante quanti erano i pretendenti al ruolo di segretario. Il tono della voce e la tensione che traspare dal volto tradiscono la sua emozione. Dei quattro candidati perdenti solo Borghesi non si è fatto vedere, Scalera e Castellarin non hanno avuto alcuna vetrina, Rinaldi ha compartecipato ad un dibattito sull’Europa e l’ex tesoriere del partito, Silvana Mura, ai tempi d’oro detta la zarina, si aggirava per le sale del convegno con aria alquanto distaccata e protetta da un ampio paio di occhiali da sole. Cerca, il neo segretario, di recuperare quanto più consenso, dai giovani proponendo il voto elettorale a distanza per gli studenti fuori sede, dalle donne suggerendo il ripristino della L.188/2007 contro l’infamia della firma delle dimissioni in bianco.
I big del partito non ci sono più, se ne sono andati quasi tutti (Donadi, Formisano, Belisario, Lannutti, Costantini, Orlando, Sonia Alfano, Pardi, Mascia solo per citarne alcuni…) il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che tra le righe confessa che «non so se sarò ancora il prossimo Sindaco di Napoli», intervenendo in un dibattito sulla buona amministrazione, a precisa domanda della giornalista Claudia Fusani, tiene a precisare che «di tessera, lui, ha solo quella dell’ANPI», quasi fosse una malattia possedere quella dell’IdV, anche se poi, spiega che si considera vicino al partito, non fosse altro per l’ampio gruppo consiliare che sostiene la sua giunta a Napoli.
Un partito l’IdV che, privato del carisma del suo fondatore, ora è alla ricerca di una sua identità politica assai difficile però da individuare, oggi così stretto in un abbraccio mortale tra PD e Movimento 5 Stelle che ne hanno fagocitato i temi sociali e morali. Una cosa è certa, non farà più comitati elettorali, la “Rivoluzione” non ha pagato. Un partito, precisa Messina, dalle «porte spalancate ma con soli posti in piedi, anche perché di poltrone, oggi noi, non ne abbiamo da offrire!», un movimento accreditato dai sondaggi di un consenso pari a circa l’1%, utile, in prospettiva europea, al conseguimento di almeno un seggio parlamentare che, molto probabilmente, sarà consegnato al Presidente Di Pietro. Rinaldi, parlamentare europeo IdV in carica ma, purtroppo per lui, oggi in minoranza nel partito, sul suo futuro non può certo dormire sonni tranquilli.
In sala stampa suscita scalpore che il neo segretario, nel suo discorso conclusivo, non citi mai Di Pietro. Casualmente incrocio il Presidente mentre esce dalla sala convegni poco prima che Messina concluda i lavori del convegno. Non vi ritornerà più. Il volto è segnato da evidenti segni di stanchezza e sofferenza, gli occhi non sono così brillanti come suo solito. Nella hall dell’hotel le illazioni si sprecano, molti ipotizzano un acceso diverbio con il nuovo padrone di casa. Il partito, nel pomeriggio chiarisce poi che si è trattato solo di un crollo fisico. Chissà?
Nel frattempo risale forte, fortissima la musica, «Sai contare? Sai camminare?» «Si! Penso di si!» «Allora forza! Conta e cammina! dai... 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8... 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99 e 100!», le bandiere in sala sventolano freneticamente, Messina alza le mani, saluta, sorride e stringe le mani dei suoi fedelissimi accorsi ad acclamarlo sotto il palco. Il presidente, sommessamente e a capo chino, percorre i “cento passi” che lo portano, in auto, fuori dall’Hotel Palace, il nuovo segretario percorre i “cento passi” che lo portano verso una nuova e sfidante avventura. Eh sì, “I cento passi”… del gambero o del grillo?
Armando Della Bella
giornalista iscritto all’Ordine
Copyright © Sansepolcro (AR), 16 settembre 2013
E’ ormai cosa nota: il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha recentemente nominato i trentacinque esperti della commissione per le riforme costituzionali. Una commissione trasversale i cui componenti dovranno elaborare il piano di riforme del nostro impianto costituzionale. Non per nulla sono stati definiti i "saggi", teorici e pratici del diritto incaricati di fornire le indicazioni nel merito delle modifiche da apportare alla Costituzione. Però la cosa non finisce qui! Eh no, perché i teorici son sempre i “teorici”, mica i “pratici” e allora ecco che, contestualmente, si nomina un comitato di ulteriori sette persone dedicato alla redazione del rapporto finale frutto del lavoro della commissione degli esperti.
A conti fatti se sommiamo i sette redattori ai trentacinque saggi arriviamo ad un totale di 42 persone, il numero giusto per noleggiare un bel pullman con il quale effettuare tutti gli spostamenti su Roma. Il torpedone ultimamente va di molto di moda nella politica. Aiuta a fare conoscenza, a fare squadra, il più delle volte a stringere amicizia, talvolta a litigare. Il problema è il parcheggio. Ma a Roma dove lo parcheggi il pullman degli esperti? In piazza Montecitorio? Uhm purtroppo ultimamente è divenuto un luogo troppo pericoloso, si rischia la rottura dei vetri, la presa a sassate, le incisioni delle fiancate con mille chiodi, se non la pistolettata di qualche disperato. La gente, ultimamente, da quelle parti, sta un po’ sull’agitato.
E allora col pullman facciamo loro fare una bella gita sulle colline agresti, li portiamo a dormire in qualche abbazia benedettina, resort o tipico agriturismo ciociaro dove, vestiti in modo informale, senza cravatta e tailleur, elaborare, tra un manicaretto e l’altro, la riforma di una delle più belle Carte Costituzionali del mondo e magari, dopo l’abbacchio, anche la riforma della legge elettorale.
Tutto qui? Eh no. Oltre alla Commissione dei Saggi, a seguire entra in campo una commissione bicamerale composta da venti senatori e venti deputati, il cosiddetto «Comitato dei 40» cioè ulteriori quaranta partecipanti. Con questi ultimi si arriva ad un totale di ben 82 persone coinvolte nel progetto di revisione della nostra Costituzione. Tutto il lavoro dovrà essere svolto nel tempo di due gravidanze, cioè diciotto mesi. Il Comitato avrà in ogni caso solo poteri referenti: i testi cioè, al termine del periodo, saranno sottoposti al vaglio delle aule parlamentari che potranno emendarli e, di sicuro, ci sarà la possibilità di svolgere in ogni caso un referendum confermativo.
Un dubbio: ma questi compiti non competono agli eletti che sono già tanti (circa mille)? Ma quando li tagliano? Ma in tempi di “spending review” è veramente necessario mettere in campo tutte queste ulteriori risorse, creare tutta questa complessa architettura per riformare la Costituzione? Non è che tutto ciò invece è una piccola furberia finalizzata a garantire lunga vita al governo per il quale così facendo si è fissato un tempo minimo di sussistenza (18 mesi)? Eh sì che qualche settimana fa un «saggio», Valerio Onida, chiamato da una finta Margherita Hack parlando della commissione dei saggi, ebbe a dire «… è probabilmente inutile...» mentre il sindaco di Firenze, Matteo Renzi così commenta «… ci dirà le cose che già sappiamo, ma per questo basta anche un grullo, non ci vuole un saggio...».
Armando Della Bella copyright © giugno 2013
Si attesta a circa 35.000 milioni di euro il previsto taglio al Fondo Sanitario Nazionale nel triennio 2012 – 2015, una scelta quanto mai opinabile perché pochi sanno che la Sanità è un settore in grado di produrre oltre l’11% del PIL nazionale, assorbendone solo il 7,1%. L’Italia continua ad essere uno tra i Paesi europei che meno investe nella prevenzione, nonostante sia ormai noto a tutti che la prevenzione è la miglior soluzione per potersi garantire un SSN sostenibile.
La sensazione vissuta dai cittadini è quella di una progressiva erosione del SSN a tutto vantaggio del servizio privato che diventa sempre più concorrenziale causa il progressivo ed inarrestabile aumento dei ticket sanitari. Oggi ai cittadini si chiede sempre più di sostenere con le proprie tasche le spese per la cura della propria persona, è un continuo sacrificio non più sostenibile per lungo tempo. Oggi la gente non ha più soldi per pagare il doppio ticket su visite ed esami e quindi sempre più persone scelgono di non curarsi più.
L’allarme arriva dal calo delle prestazioni ambulatoriali che, ad esempio, nell’ultimo anno, nella regione Veneto si sono ridotte di circa 2.300.000 unità passando dalle 71.068.250 del 2011 alle 68.792.023 del 2012 e l’incasso del ticket è diminuito di ben 20 milioni di euro, passando dai 198.461.502 euro del 2011 ai 178.433.861 euro del 2012. Inoltre il CUP dell’Azienda Ospedaliera di Padova ha perso circa il 30% delle prenotazioni. Quanto detto non è indice di un diffuso benessere o di uno stato di salute generalizzato più che ottimale, ma di una progressiva regressione della prevenzione sanitaria. Spesso le persone che vivono di salario o di stipendio faticano a pagare il doppio ticket e quindi rinunciano ad andare dal medico o si rivolgono al privato dove tante prestazioni costano meno. Gli unici soggetti che continuano ad usufruire del SSN sono gli anziani ed i cassaintegrati perché sono categorie entrambe esentate dal pagamento del ticket. E’ drammatico oggi constatare che le gente non si cura più perché non ha il denaro per farlo. La conseguenza è che le prestazioni mediche offerte dagli ambulatori aperti dalle associazioni di volontariato caritatevole sono aumentate, nel 2012, del 200% e quando queste non sono più sufficienti spesso il cittadino oggi, piuttosto che pagare, si fa ricoverare in ospedale, intasando così corsie già super affollate.
Di fronte a questo quadro, diviene quindi molto importante restituire ai cittadini il diritto alla salute, dando subito applicazione agli impegni contenuti all’interno del recente decreto Balduzzi relativi al riordino dell’assistenza territoriale, con particolare riguardo alla nuova organizzazione dei servizi territoriali di assistenza primaria. Ed è proprio su questa strada che, recentemente la Regione Veneto si sta muovendo nell’ottica di dare attuazione ad una vera “spending review” nella sanità. A partire dal primo di settembre, tutte le strutture sanitarie della Regione Veneto saranno aperte dalle ore 20 alle ore 24, fine settimana e festivi compresi. Così facendo, sarà più facile accedere alle visite con maggiore libertà, senza chiedere permessi al lavoro; una novità importante specie per chi deve assistere una persona disabile o anziana.
I servizi concessi saranno quelli ambulatoriali, soprattutto radiologici, la cosiddetta diagnostica da grandi macchine. Così facendo si potranno sfruttare ed ammortizzare al meglio i costosi macchinari (da milioni di euro) che spesso restano spenti per buona parte del giorno: in media funzionano solo 3-4 ore contro le potenziali 8-12 ore. L’obiettivo di questa scelta? La riduzione delle liste di attesa, oggi arrivate ad un tempo di attesa medio di circa 6/9 mesi, una vergogna per il cittadino che paga fior fiore di contributi alla sanità pubblica e non si vuole piegare al ricatto della visita a pagamento, subito disponibile a soli pochi giorni dalla richiesta.
Quanto si spera accadrà va nell’ottica di quanto noi CITTADINI ATTIVI da tempo chiediamo. Il nostro sostegno c’è.
Armando Della Bella copyright © maggio 2013
Era pari a circa il 30% la percentuale dei cittadini che, secondo le ultime rilevazioni, a pochi giorni dal voto, dichiaravano di essere indecisi o tentati dall’astensione ed ammontava a circa 5 milioni il numero degli elettori che avrebbero deciso solo all’ultimo minuto, tutti spettatori di una delle più brutte campagne elettorali degli ultimi tempi. Non ci siamo fatti mancare nulla e abbiamo visto di tutto, ma proprio di tutto.
Una campagna elettorale caratterizzata da troppe promesse, alcune populiste e demagogiche, pervasa da un linguaggio pesante, offensivo, denso di – a volte sottili - insulti verso l’avversario, una competizione elettorale che ha reso l’immagine di un Paese superficiale, poco propenso alla vera e concreta soluzione dei problemi della gente, una campagna condita da slogan pubblicitari, da un immenso bombardamento mediatico che ha superato la forza di penetrazione dei social network, da nessun confronto pubblico tra i candidati alla premiership e addirittura dalla totale assenza di manifestazioni elettorali di coalizione: per la prima volta nella storia delle seconda repubblica, i partiti uniti in coalizione hanno accuratamente evitato di partecipare a manifestazioni in comune tra loro.
Tutto ciò ha chiaramente evidenziato come, in realtà, le coalizioni non servono per condividere un programma politico utile al miglioramento delle condizioni di un Paese, ma si confermano essere solo uno stratagemma tecnico finalizzato a mettere insieme partiti, a volte anche molto diversi tra loro sul piano politico (siamo arrivati a coalizioni composte fino a 13 simboli tra partiti e partitini!), onde ottenere il premio di maggioranza ed abbassare la soglia di ingresso in Parlamento delle formazioni politiche coalizzate. Ci troviamo di fronte all’ennesima conferma del fallimento dello spirito maggioritario di questa legge elettorale, già definita Porcellum, che tutti i maggiori partiti, ad ogni turno elettorale, si affannano a disprezzare promettendone l’abolizione, evento poi che, a legislazione avviata, mai si avvera, perché le forze politiche sono troppo allettate dall’enorme premio di maggioranza che il Porcellum concede alla coalizione vincente.
Una competizione politica caratterizzata da arresti eccellenti per corruzione, truffa e tangenti, dove pubblicamente si promette di ubriacarsi alla sconfitta dei traditori, si vantano titoli ed onorificenze mai acquisiti, si rivendica con orgoglio il proprio passato di mungitore di vacche, ci si impegna a smacchiare giaguari ed affini, si tritura la dignità di donna di una malcapitata venditrice, si considera la politica alla stregua di una scala mobile che qualcuno sale, altri scendono e qualcun altro scavalca, ci si contrappone a provvedimenti governativi fino al giorno prima sostenuti a maggioranza, si promette di abbassare le tasse - ammonta a circa 230 mld lo stratosferico totale delle riduzioni promesse da tutti i partiti (?) - sperando che gli italiani dimentichino che, in realtà, negli ultimi 20 anni sono sempre aumentate raggiungendo gli attuali livelli insopportabili. Nel frattempo giungono improvvise ed, ai più, incomprensibili le dimissioni del Papa.
Un Paese oggi stremato dalla disoccupazione giovanile (orma al al 37,1%) e degli ultra cinquantenni, dall’esponenziale crescita del livello di povertà (il 14% della popolazione), dalla chiusura delle imprese (circa 1000 al giorno), da migliaia di esodati che ancora oggi non sanno di che vivere, dagli oltre 810 mld di spesa pubblica, dalla riduzione delle matricole universitarie (50mila iscritti in meno quest’anno), dalla riduzione del Pil (- 2,1% nel 2012). Un Paese sempre più inflazionato dai “compro oro” ad ogni angolo di strada, in cui oggi nessuno paga più nessuno, con sempre più persone che affidano il proprio destino al “Gratta e Vinci”. Dopo aver attraversato la “Prima Repubblica”, che ha visto l’affermarsi del sistema partiti, la “Seconda Repubblica” caratterizzata dalla crisi del sistema partiti, questo Paese ora si avvia mestamente e con affanno verso la Terza Repubblica che probabilmente sarà caratterizzata da una nuova forma partito, un partito senza più strutture, senza più oligarchie, senza più segretario: il partito informe.
Speriamo bene.
Armando Della Bella copyright © febbraio 2013
«La scelta della cosiddetta "tripla quota" non è stata deliberata dal gruppo consiliare, ma risponde ad una prassi sempre seguita sia nel gruppo del Pdl sia negli altri gruppi che ho trovato al mio insediamento. Non tutti i componenti del mio gruppo consiliare erano a conoscenza di questa prassi e delle modalità con le quali mi attribuivo la cosiddetta "tripla quota"» così Franco Fiorito l’ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio giustifica l’ammanco di 1,357 milioni di euro che, per usi personali, ha distolto dai fondi del suo partito.
Il capogruppo spiega che governatore e giunta fissavano il budget annuale, ma poi «quella cifra veniva ritoccata». Così la cifra destinata al «rapporto tra elettore ed eletto» passava da 5 milioni e 400 mila euro a 14 milioni, 100 mila euro netti in più per ciascun consigliere. Trovati come? «Provvede il presidente dell' assemblea regionale, ritagliando da altre voci di bilancio, quali i trasporti, piuttosto che la scuola o la sanità, importi tali che, convogliati sui gruppi, consentano, alla fine, di far tornare il conto». Il denaro veniva stornato dai soldi che dovevano essere utilizzati per i servizi pubblici destinati ai CITTADINI. Tutto era lecito e dovuto in base ad una “prassi consolidata”. Il Lazio era diventato un’immensa abbuffata, la Lombardia è sotto inchiesta, come pure la Campania, in Veneto ed in Piemonte venivano concessi migliaia di euro fuori busta. Per non parlare della Sicilia e della Sardegna. Su dodici consigli regionali presi in esame, otto non dispongono di un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e ricevute. Basta una semplice richiesta per attingere ai fondi. Regioni che, secondo la Ragioneria dello Stato, costano circa 222 miliardi di euro.
Ma se “così fan tutti” ed “era la prassi” erano i giustificabili (?) motivi per “rubare” risorse pubbliche, ora, più recentemente, a giustificativo s’invoca il diritto alla privacy: «Io sono per la massima trasparenza - dice Giorgio Lunelli consigliere del Trentino Alto-Adige - ma dobbiamo stare attenti all'eccesso di trasparenza, che può mettere in difficoltà chi svolge attività politica. Se io ho un incontro riservato e vado a pranzo con una persona può rappresentare un problema dover pubblicare la spesa con il nome della persona con cui sono andato a pranzo». Invocare la privacy per non rendere conto di come vengono spesi i soldi pubblici è l'ultimo disperato tentativo per conservare privilegi assurdi e ingiustificati quale l’auto-assegnazione di fondi consistenti, oltre alla propria già lauta indennità, da spendere e spandere senza alcun tipo di controllo o di verifica da parte di alcuno, ma il Garante, sul tema della privacy ha già risposto più volte: non esiste la privacy sui soldi pubblici. E poi da anni s’invoca l’autoregolamentazione ma, come emerge ora da scandali su sanità, consigli regionali, appalti, fondi UE per lo sviluppo, la classe politica è ormai un malato cronico di illegalità, qualunque sia l’organizzazione del Paese.
Un recente studio ha dimostrato che esiste una relazione tra le indennità di presidente e consigliere di regione ed il benessere dei loro CITTADINI, relazione che diviene ancora più forte se si confronta il livello delle indennità al tasso di disoccupazione: le regioni con il tasso di disoccupazione più alto sono anche quelle con l’indennità maggiore. Le indennità non sono perciò legate ai risultati economici del territorio. Al contrario, emerge una relazione negativa tra stipendi della politica locale, benessere economico e andamento del mercato del lavoro. E questo dimostra come la distanza tra la cura dell’interesse dei CITTADINI e gli eletti sia siderale!
Armando Della Bella
copyright © ottobre 2012
Francoforte, giovedì 2 agosto 2012, ore 14.54, dichiarazione del Presidente della Bce, Mario (Draghi): «La Bce potrebbe varare altre misure di politica monetaria non standard, ma solo nelle prossime settimane verranno definite le modalità di intervento». In sostanza il Presidente rinvia un programma di azioni non standard a sostegno dell'euro come l'acquisto, sul mercato secondario, di titoli di stato dei Paesi più in difficoltà quali Spagna ed Italia.
Apriti cielo! I mercati reagiscono malissimo, le Borse virano in negativo con Milano che, in caduta libera del 4,6%, in poche ore brucia 14,2 miliardi di capitalizzazione e lo spread schizza a 507 punti base, da un minimo di 439 punti toccato solo poche ora prima. Per i Btp decennali il rendimento torna al 6,33%, altissimo.
Passano solo ventiquattro ore e il clima dei mercati cambia repentinamente. Milano, unitamente a tutte le altre piazze europee, rimbalza a +6,34% e il differenziale BTP/Bund scende fino a 464 punti con un tasso di rendimento al 6,04%. Incredibile. Nel giro di poche ore lo spread BTP/Bund decennali si è mosso segnando un’escursione di oltre 110 punti base! Se giovedì erano state esagerate le attese e le reazioni per le parole del Presidente Mario (Draghi), che non aveva annunciato, così come si aspettavano i mercati, misure urgenti a sostegno dei paesi in difficoltà, il prospettato acquisto sul mercato secondario di titoli di stato a breve, in particolare di Italia e Spagna, quale strategia a corto raggio a difesa dell’integrità dell’Euro, nel giro di poche ore agita gli operatori e i mercati e raffredda la speculazione che ormai da troppo tempo si accanisce su un’Europa che fatica a trovare un’unità di intenti a difesa della moneta unica.
La novità è che il Consiglio Direttivo di Eurotower, riconoscendo che gli spread attuali non riflettono i fondamentali ma ostacolano la trasmissione della politica monetaria, ha acconsentito - con una sola astensione, indovinate di chi? - alla Bce di agire a breve per ripristinare il giusto equilibrio tra i tassi dei Paesi membri. Si è finalmente convenuto che gli investitori ipotizzano che l’euro si frantumi e che i bond potrebbero quindi essere rimborsati in valute nazionali più forti al nord d’Europa, e più deboli al sud d’Europa. Da qui la penalizzazione, in spread, per i Paesi più fragili. Non è perciò un problema interno al singolo Paese ma esiste una quota supplementare di spread che va azzerata perché prodotta dall'idea che l'euro possa finire e rischia essa stessa di accelerarne la fine.
Paradossalmente al Presidente Mario (Draghi), con poche a parole, riesce quello che invece, con molta fatica, non riesce al Presidente Mario (Monti), indaffarato così com’è in decreti Salva Italia, Sviluppo Italia, Spending Review, Fiscal Compact, riforma delle Pensioni e riforma del Mercato del Lavoro (una mole di lavoro enorme!): riportare, nel più breve tempo possibile il valore dello spread BTP/Bund a volori più accettabili e sostenibili per l’economia del nostro Paese, così pesantemente gravato da un debito pubblico di quasi 2mila miliardi di euro (123% del Pil). E quanto è successo la dice lunga su quello che da tempo Mario (Monti) insiste nel dire: solo una strategia unica ed una volontà politica comune europea possono salvare l’euro dalla speculazione internazionale. Il discorso di Mario (Draghi) e le sue conseguenze sui mercati ne sono la prova.
Certo è che la nostra situazione è molto diversa da quella spagnola: non abbiamo subito la bolla immobiliare, non abbiamo un ingente debito estero, i conti dello Stato al netto degli interessi sono attivi (+3,6% nel 2012), e il mondo bancario, non è gravato da mutui irrecuperabili. Tutto ciò a dispetto delle agenzie di rating che, imperterrite, continuano a distribuire valutazioni a destra e a manca declassando, giusto venerdì 3 agosto, 15 banche italiane su 32 esaminate: fra queste Mps, Carige, Dexia e Popolare di Milano mentre confermano il loro standing Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mediobanca. In sostanza, come più volte il Presidente Mario (Monti) dichiara con incisività alla stampa nazionale ed internazionale, ce la possiamo comunque fare e i mercati in questi giorni ci credono perché non tengono minimamente conto dei declassamenti operati.
Ce la possiamo fare se sapremo però indirizzare bene la nostra politica di risanamento interno. Certo non gravando ancora sul solito cittadino contribuente ormai già oberato da tasse, IMU, perdita del potere d’acquisto, mobilità e disoccupazione.
Perché, ad esempio non mettere mano agli oltre 3.000 enti inutili tra consorzi, società partecipate dallo Stato, dalle regioni, dai comuni e dalle province? Qualche esempio? L’ ”Istituto per le piante da legno e l’ambiente”, il “Centro piemontese di studi africani”, il “Centro internazionale del cavallo”, il “Centro di documentazione di storia della psichiatria”, l’ ”Ente autonomo fiera mostra dell’ascensione di Francavilla Fontana”, il “Consorzio per le applicazioni dei materiali plastici per i problemi di difesa della corrosione” e via dicendo. A questi si possono aggiungere gli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), che dovevano sparire nel 2010, i Bacini Imbriferi Montani, i Consorzi di Bonifica ancora in vita a ottant’anni dalla bonifica dell’Agro Pontino. Strutture tutte dotate di Cda, Presidente, Consiglieri e Revisori dei conti, le cui funzioni potrebbero essere invece svolte molto bene da Regioni, Province e Comuni. Il loro costo? La Corte dei Conti lo stima in 7 miliardi di euro l’anno, di cui 2,5 solo per i cda e gli amministratori.
Il Presidente Mario (Draghi) con due parole, in poche ore sposta miliardi di euro, in Italia Il Presidente Mario (Monti) per risparmiare qualche euro, si scontra con tempi biblici dovuti alla politica. La dimostrazione? Una su tutte: il “Consorzio obbligatorio per il nuovo ampliamento del porto e della zona industriale di Venezia-Marghera”, un ente di diritto pubblico istituito dallo Stato nel 1963 e posto in liquidazione nel 1995 è stato recentemente chiuso dopo ben 17 anni con un aggravio di un milione e mezzo di euro di spese, di cui oltre 757mila di parcella al Commissario(!).
Di questo passo, il Presidente Mario (Monti) ce la potrà mai fare?
Armando Della Bella
copyright © agosto 2012
«Vada a bordo! E’ un ordine... Cosa vuole fare? Vuole andare a casa? Guardi Schettino che lei forse si è salvato dal mare, ma io le porto veramente male. Io le faccio passare dei guai... Vada a bordo! Ora!». Con queste parole il capitano Gregorio De Falco ha apostrofato il Comandante della nave “Costa Concordia”, reo di averla abbandonata dopo il naufragio di fronte all’Isola del Giglio con circa 300 passeggeri ancora a bordo. La celebrazione di un eroe, un idolo eretto a salvatore dell’immagine della Patria, un’icona in un Paese, l’Italia, che ora soffre una crisi d’identità perche da tempo ha smarrito la sua immagine, la sua personalità, la sua dignità.
Ma il “capitano buono” si affretta subito a chiarire: «Non sono un eroe, non prendetemi in giro... Ho cercato di fare il mio dovere, come era giusto. Potevamo salvare tutti i passeggeri della Concordia». Ha ragione. Un Paese non può ricrearsi una verginità santificando il primo capitano che si comporta come si deve. «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi», così recitava Bertolt Brecht. Ma l’italiano vero, il “cittadino attivo” non è lo Schettino Laqualunque di turno, checché si affrettino a bollarci così i media e la stampa internazionale. No, si sbagliano. Il cittadino “attivo” è quello che tutte le mattine, quando si sveglia per andare a lavorare, si pone mille domande e spesso non capisce il perché delle cose.
Il vero “CITTADINO ATTIVO” è colui che non capisce perché a pagare le tasse siano sempre e solo i soliti “noti” pensionati e dipendenti piuttosto che tutti coloro che potrebbero, abbassando così per tutti il carico fiscale, è colui che si chiede perché lo Stato pretenda sempre di più da chi paga di più e non invece da chi ha di più, è il cittadino che si domanda perché sia costretto a pagare un’aliquota fiscale media del 35% se mantiene la ricchezza all’interno del suo Paese, ed il 5% se invece la esporta illegalmente all’estero.
E’ il cittadino che si chiede come mai un giorno gli introiti degli esercizi commerciali possano aumentare del 300% o la mancata emissione di scontrino fiscale scendere del 50% solo perché c’è la Guardia di Finanza in giro, è l’anziano ammalato che si chiede perché quando si reca presso un ambulatorio pubblico per una visita di controllo, il “numerello” gli dice che in coda prima di lui ce ne sono altri 130, è il cliente del medico dentista che si sente “scontare” l’importo della prestazione di oltre il 20% se non chiede la ricevuta, è il pubblico elettore che si chiede perché, grazie ad un emendamento bipartisan al decreto legge mille proroghe, si consenta ai partiti di imbrattare ancora le città con i loro manifesti abusivi pagando semplicemente mille euro di multa mentre alcuni piccoli imprenditori sono costretti al suicidio perché non riescono a pagare le cartelle esattoriali ad Equitalia e gli stipendi ai propri dipendenti.
E’ l’invalido che si chiede perché le risorse debbano essere condivise con chi, pur cieco, guida l’automobile, è il malato che si sente rispondere che con 150 euro può abbreviare i tempi della visita prevista tra sei mesi, è il barista onesto che non dorme la notte per far quadrare i conti e dare il miglior caffè mentre il collega del bar di fronte gira in Suv e dorme sonni tranquilli, è colui che si chiede perché chi non paga le tasse deve anche usufruire dei servizi sociali e per di più anche gratis, è quello che non capisce perché in un mondo ormai così dominato dalla tecnologia, sia così faticoso incrociare quattro dati e scoprire gli evasori fiscali, è il cameriere che spera di poter “arrotondare” con le mance e si chiede perché ai parlamentari è nuovamente concessa la “legge mancia” cioè la donazione di 150 milioni di euro per “gratificare” i loro collegi elettorali, è colui che si chiede perché se, come si dice, l’onestà paga, a vivere meglio sia sempre quello che onesto non è…
Armando Della Bella - copyright © febbraio 2012
E’ Incredibile! La notizia che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia pagato il biglietto per vedere un film al Festival del Cinema di Roma, ha inondato i mass media. La voce, circolata dopo la proiezione del film 'L'industriale', ha poi trovato conferma: il capo dello Stato aveva pagato di “tasca propria” il biglietto per assistere alla proiezione del film di Giuliano Montaldo. Emissari del Quirinale erano andati in mattinata ad acquistare il biglietto per il Presidente che poi si e' presentato come un qualsiasi cittadino alla proiezione del film.
La notizia, che in un qualsiasi altro Paese europeo caratterizzato da alto senso per lo Stato sarebbe passata del tutto inosservata e mai ripresa dalle agenzie di stampa, in Italia ha suscitato scalpore. Non eravamo abituati, non ci siamo abituati, non ci hanno abituato a questo agire, a questo modo di fare, a questo principio di sobrietà ed umiltà, a questo sentirsi uno tra tanti, al considerare l’esercizio del potere come servizio alla gente del proprio Paese piuttosto che, invece, un’opportunità per vivere al di sopra della media, al di sopra di ogni sospetto e nell’impunità.
La serata distensiva dopo una intensa giornata di lavoro, quel momento che ti consente di scaricare la tensione accumulata tra snervanti mediazioni, incontri di vertice, riunioni di Gabinetto, incontri istituzionali, si traduce nella visione di un film, sotto gli occhi di tutti e non di pochi invitati “a Palazzo”, in un luogo pubblico e non in un semi-interrato privato o in una camera d’albergo, pagando il biglietto e non concedendo regalie.
La “Casta” potrà vantare un briciolo di credibilità quando darà per davvero il “buon esempio”, tirando anch’essa, come tanti concittadini, la famosa “cinghia”. Per chi amministra la “res publica” vuol dire rinunciare a privilegi e a sprechi. Nel momento in cui la gente a fatica raggiunge la fine del mese e non riesce più a risparmiare un euro, ostentare il lusso è atteggiamento indegno ed immorale. Così come sono devastanti i cattivi comportamenti nei luoghi deputati all’emanazione delle leggi e dove poi a fatica le si rispetta, dove ci si insulta e ci azzuffa per questioni personali ed insignificanti, dove il “pianista” vota per il collega assente, dove sono più i giorni di assenza che di presenza. E’ l’Italia degli opportunisti e dei furbi, che ha avuto il sopravvento sull’Italia degli onesti e così sarà fino a quando non ci sarà un riscatto morale, una ribellione delle coscienze di fronte a tanto degrado morale ed etico.
Un Paese che da tempo è diviso in due parti: da una parte una rissa perenne, sterile, infruttuosa, priva di risultati oggettivi, dall’altra una crescente sofferenza caratterizzata da impotenza e rassegnazione, con un quarto degli italiani a rischio povertà e con servizi sociali ridotti all’osso. Alle porte il rischio di una guerra tra poveri. A 150 anni dall’Unità d’Italia, si assiste al “crollo” e al degrado morale di un Paese da sempre ricco di storia, cultura e tradizioni, devastato da striscianti divisioni che minano la sua integrità.
Ora nasce il “Governo Monti”, il governo dei “tecnici” che sancisce così il fallimento della classe politica, che “commissaria” il Paese, un governo ora sostenuto da più dell’80% degli italiani, speranza di un’Italia che c’è e che è migliore e più solidale di quella vociante e rissosa che ogni giorno vediamo su mass media, un’Italia che stenta ad emergere e che ora si coagula attorno ad un esecutivo che con la politica ha dichiarato di aver nulla a che fare.
Le poltrone della «Casta», per la prima del 7 dicembre alla Scala, le uniche rimaste ancora libere, da quest’anno sono in vendita al prezzo di quasi 2 mila euro l'una. Un centinaio di tagliandi extralusso tradizionalmente riservati alla “Politica”. Sobrietà e rigore, una svolta. A Roma, il Presidente Monti recupera dal garage la più “stagionate” auto blu italiane Fiat Croma, Lancia K e Alfa Romeo 156 e lascia dentro le auto di lusso, ultimo modello, Audi, Bmw e Volvo. In garage anche la Maserati Quattroporte blindata (mai usata) dal Presidente Berlusconi e le diciannove Maserati Quattroporte acquistate dal Ministero della Difesa.
Un segnale, una speranza per un futuro migliore. Forza Presidenti, siamo con Voi.
Armando Della Bella
copyright © novembre 2011
“Bravo Di Pietro, bravo! Noi non t’abbiamo votato ma tu vai avanti così!…” così il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, dal palco della 6° festa nazionale svoltasi a Vasto (CH), descrive il suo cruccio politico. E’ la famosa storiella del distributore di benzina di Teramo dove sostava un pullman di trevigiani diretto da Padre Pio. Riconosciutolo, lo hanno acclamato ed incoraggiato ma anche politicamente sconfortato. Una IdV che vorrebbe far diventare “partito di massa” e che invece stenta in questo senso ad affermarsi così come i sondaggi testimoniano (TG LA7 - 12.9.2011): un partito in forte regressione (-3%) rispetto al voto delle ultime elezioni europee. “Ma non vorrei che poi fosse meno, meno, meno…” conclude la frase l’ex magistrato di Mani Pulite, gesticolando con forza, “perché, in politica, i numeri contano!”. Eppure molti sono stati i suggerimenti al dilemma politico del Tonino nazionale sorti in questa tre giorni settembrina che, tra le tante feste di partito in corso, ho scelto come potenziale laboratorio politico autunnale. E’ così infatti è stato: solleticati da mitraglia “Chicco” Mentana, Bersani (a denti stretti), Vendola e Di Pietro, di fronte ad un numeroso pubblico, hanno (ri)fondato un “Nuovo Ulivo”, coalizione elettorale a tre nel centrosinistra ma, precisano, “senza steccati”.
Dicevamo dei suggerimenti. Inizia Marco Travaglio che, rivolgendosi a Di Pietro, gli chiede perché IdV e tutta l’opposizione, utilizzando gli strumenti legali che la democrazia mette a disposizione (“ad esempio chiedendo continuamente la verifica del numero legale”) non bloccava il Parlamento inducendo così il Governo a dimettersi e ponendo così fine a questo lento e strisciante suicidio delle Istituzioni, invito gentilmente declinato da Di Pietro “perché io – risponde - da uomo politico ho il dovere d’impedire l’occupazione delle Istituzioni” appoggiato in questo dall’on. Silvana Mura che, dalla prima fila, con un eloquente gesto della mano, disapprovava la “travagliata”. Sul viso di Travaglio, visibile, si coglie la delusione.
Anche Sonia Alfano contribuisce suggerendo al Presidente, dal palco, che sarebbe ora di fare un po’ di pulizia all’interno del partito, oggi più che mai “scilipotato” (“nel partito deve mancare l’aria per lo scilipotismo”), recuperando quelle persone perbene che, negli anni, per sete di potere e poltrone, sono state cacciate dai cosiddetti “professionisti” della politica, piombati in IdV, dal 2005 in poi, da ogni partito, perfino dall’odiato Udeur. Anche allo stesso Di Pietro, nel corso del dibattito, sorge il dubbio di avere commesso qualche errore: “Dobbiamo tornare al movimentismo della prima Italia dei Valori..”, dice al microfono, rinnegando così il passaggio al modello partito avvenuto nel 2006. Non passa poi inosservato il richiamo all’unità che la conduttrice, Lea Del Greco, fa dal palco ad alcuni alti dirigenti di partito non (volutamente?) presenti, evidenziando così l’esistenza di un “dissenso” politico interno.
Non da meno è il neosindaco di Napoli Luigi De Magistris che, accoratamente, enuncia la sua linea politica fondata sul superamento di vecchi schemi, ormai logori, della politica: “La politica (in questo smentendo la teoria dipietrese) non è sommatoria di numeri, noi dobbiamo andare oltre, oltre l’Ulivo, oltre l’Unione, oltre al ‘questo sì, questo no’, oltre anche a Berlusconi… dobbiamo recuperare un contatto diretto con la gente, parlare dei loro problemi…”, in questo sostenuto da scroscianti applausi e rubando la scena al suo Presidente come il giorno prima aveva fatto Nichi Vendola. E lui, l’ex pm di “Why Not”, a Napoli ha dimostrato che sì può fare: “Se Di Pietro vuol riformare il sistema, io invece, al contrario, penso di rivoluzionarlo…”. Anche il vicino Circolo IdV di Termoli, mentre Di Pietro arringava i militanti a conclusione della festa, contribuiva alla riflessione: in una nota ufficiale definiva “Antonio Di Pietro come Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, accomunati dalla stessa concezione familistica e privatistica della politica”, reo, l’ex pm, di aver candidato, come consigliere regionale in Molise, il figlio Cristiano.
“Se non stiamo con Tonino, restiamo senza panino!” urla un anziano militante mentre, con il mio bloc notes, esco da Palazzo D’Avalos. I militanti, secondo loro, una cosa l’hanno capita. E lui avrà compreso quanto, in tanti, gli han ripetuto al microfono?
Armando Della Bella
copyright © settembre 2011
“Mi auguro un’Italia più serena, meno lacerata, meno divisa, dove la lotta politica non sia una guerra continua e dove ci sia rispetto tra le parti che fanno politica e che competono per la conquista della maggioranza” questo è l’augurio che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano rivolgeva agli italiani, in particolare ai giovani studenti delle scuole medie, qualche giorno prima delle ultime elezioni amministrative. In realtà, poco tempo dopo, Letizia Moratti, alla fine di un confronto televisivo quando ormai non era più possibile replicare, pugnalava alla spalle il rivale Giuliano Pisapia citando una vicenda giudiziaria senza (forse) sapere che si era conclusa con la totale assoluzione dell’avvocato milanese.
Il Palazzo della politica è sempre più lontano dalla gente e sempre più insensibile al richiamo e al rispetto delle Istituzioni. Si avvita su sé stesso in una lotta continua tra affari ed interessi, senza un briciolo di etica, perdendo di vista il “bene comune”. Cresce l’antipolitica. Le liste dei grillini arrivano ad ottenere in alcune città, come ad esempio Bologna, percentuali di consenso a due cifre. Negli ultimi trent’anni il numeri di coloro che disertano le urne è cresciuto progressivamente, senza sosta. Alla fine degli anni settanta andava alla urne il 90% degli elettori, poi l’astensione ha cominciato a crescere e la partecipazione al voto degli italiani è precipitata sempre più fino ad arrivare al 63,6% alle ultime elezioni regionali (2010). Il penultimo dato, le elezioni europee del 2009, vede la partecipazione elettorale al 69,6%. Unico momento in controtendenza, in questo trentennio, è stato quello di “Tangentopoli”, segno che il richiamo ad una politica più sobria, più etica e morale è fortissimo negli italiani.
A Trieste, al primo turno di queste ultime amministrative, si è recata al voto poco più della metà egli elettori giuliani: il 56,69% degli aventi diritto contro il 74,50% delle comunali del 2006. Un calo del 18%. Non è da meno Gorizia che ha registrato un -23%. E così in tutta Italia dove, ad esempio, ad eccezione di Torino e Cagliari (in lieve crescita), e Milano (stabile), la partecipazione al voto ha registrato un calo diffuso: -2% a Bologna, -7% Napoli, -8% a Reggio Calabria, -2% a Siena, -1,5% a Varese, solo per citarne alcune. L’area dell’astensionismo in media, oggi, arriva a toccare il 40%.
Il nuovo sindaco di Trieste, alla fine, sarà eletto solo da un quarto degli aventi diritto al voto. Sarà il sindaco di una minoranza e tutto ciò non è sintomo di una democrazia sana, di una democrazia matura. E’ solo l’ennesima dimostrazione della crescente disaffezione degli italiani verso questo modo di fare politica oggi in Italia, caratterizzata dall’uso ormai sistematico del “metodo Boffo”, dalla radicalizzazione del dibattito politico, dal concepire l’avversario come un nemico da annientare, dalla continua attività di dossieraggio, dalla trasformazione di una visione controversa in una strisciante ed infinita guerra civile. Una “casta” che si perpetua con qualsiasi mezzo per non perdere benefici e privilegi.
Una disaffezione ed un astensionismo gravemente presente nel mondo dei giovani. Ho recentemente partecipato ad una sessione d’esame di cultura generale ed è stato avvilente constatare che alcuni ultra-ventenni e laureati non conoscevano il nome del presidente del Senato, i poteri del capo dello Stato, del Parlamento, del presidente del Consiglio, non ricordavano che tipo di repubblica è la Repubblica Italiana. Quanto anacronistiche appaiono oggi le parole che Piero Calamandrei pronunciò, quel 26 gennaio del 1955, a Milano, nel Salone degli Affreschi.
Che possiamo allora pretendere dagli elettori se addirittura è la stessa classe politica che invita al “non voto”, cioè a disertare le urne al prossimo turno referendario? Nulla. Torniamo a studiare la “Costituzione Italiana”.
Armando Della Bella
copyright © giugno 2011
Ho contattato, telefonicamente, un paio di volte perché non credevo alle mie orecchie, il CUP di Padova, Azienda Ospedaliera per prenotare una visita: conoscendo il nostro decrepito sistema sanitario ero preparato a tempi lunghi, anche lunghissimi, per effettuare la visita (mi è successo di attendere anche 1 anno), ma non mi aspettavo che, semplicemente per avere un contatto con l’operatore dovessi attendere in linea “per non perdere la priorità” 1 ora e 15 minuti.
Qui a Padova, quindi, per solo per prenotare una visita che magari si farà fra 1 anno o 18 mesi, bisogna stare al telefono per più di un’ora.
Ma questa, a mio avviso, non è solo malasanità, questa è pura follia, è gestire in modo demenziale il rapporto fra l’Azienda Ospedaliera ed il cittadino, è sancire l’irresponsabilità e l’inadeguatezza degli amministratori di questa Azienda.
L’uomo giusto al posto giusto. Questo è il principio al quale dovrebbero ispirarsi tutti quelli che sono alla ricerca di un lavoro stabile, di una progressione di carriera, di un’affermazione nel mondo dello spettacolo, della cultura, dello sport e soprattutto nel mondo della politica. Ma pare che, in realtà, oggi, quest’affermazione in Italia sia priva di fondamento. Oggi la politica non si confronta più su come affrontare i problemi del Paese. No, oggi il dibattito politico e l’attenzione dei media è tutta catturata da fatti e misfatti che evidenziano comportamenti e scelte dei singoli che dimostrano che “lui, no, lui lì non ci doveva stare”. Nemmeno la morte dell’ennesimo giovane soldato italiano in uno sperduto paese qual è l’Afghanistan è più una notizia da prima pagina. Così invece fa notizia, sulle reti Mediaset, che l’ex leader di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti e signora Lella, abbiano passato una settimana in vacanza alle isole Bahamas. Pizzicati da alcune foto a tradimento in maglietta e zainetto sul trenino caraibico. Poi si scoprirà che, in realtà, erano le Antille ma comunque sempre di Caraibi si tratta. Una condizione elitaria e aristocratica? Poco tempo fa, la stessa signora Lella aveva dovuto smentire altri luoghi comuni sul compagno di una vita: «L' unico cachemire che gli ho comprato è stato 10 anni fa al mercato e l'ho pagato 25 mila lire; gli altri sono arrivati dai suoi amici che per gioco, quando Fausto ha compiuto 60 anni, gliene hanno regalato uno a testa» e però con l’occasione lei ricorda ai giornalisti che « Veltroni si è appena comprato un appartamento a Manhattan e non lo dice nessuno». Anche lui fuori posto, anzi “fuori Paese”.
Sempre sul cachemire è chiamato a rispondere Massimo D’Alema fotografato “fuori posto”, con la moglie, sulle nevi di St. Moritz. Non solo la sciarpa non era di cachemire – si giustifica - ma «le scarpe le ho comprate da Decathlon, pagandole ventinove euro». Di certo son “fuori posto”, rispetto al mandato elettorale ricevuto, i tre ex onorevoli dell’Italia dei Valori – Antonio Razzi, Domenico Scilipoti e Americo Porfidia - che ora con il loro voto sostengono la maggioranza di centrodestra. E proprio tre furono i voti di maggioranza che il 14 dicembre si opposero alla mozione di sfiducia, presentata in Parlamento, al governo Berlusconi, premier che fu beccato, da una giornalista, “fuori posto”, a Napoli, alla festa del diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, giovane minorenne che da sempre lo chiamava “Papi”. «Io ho risposto ad una sola domanda e cioè se ci sia stato un rapporto più che piccante con Noemi. Assolutamente no, e sbagliando, perché non dovevo farlo, ho giurato sulla testa dei miei figli» spiegò il primo ministro in quella occasione. Ora con Ruby Rubacuori, la storia sembra ripetersi.
Rapporto invece che si dimostrò nel caso dell’ex governatore della Regione Lazio, Piero Marrazzo, pescato “fuori posto” in mutande e filmato dal carabiniere Luciano Simeone nell’appartamento del trans Natalie. Situazione non meno imbarazzante di quella vissuta dal portavoce del governo Prodi, Sivio Sircana, beccato da un fotografo “fuori posto” mentre con la sua auto si accostava ad un trans in una via della periferia di Roma.
Non meno “fuori posto” sono gli oltre 700 nomi illustri di presunti evasori fiscali contenuti nell’ormai famosa «lista Falciani» il dipendente della banca Hsbc scappato con l' elenco dei clienti di mezzo mondo. Per l' Italia ci sono 6.963 «posizioni finanziarie» sospette per un totale di sei miliardi, nominativi che seguono gli altri 600 nomi contenuti nella meno recente “lista Pessina”, illustri clienti di Fabrizio Pessina, avvocato svizzero specializzato nell’esportazione di capitali all’estero ed arrestato per riciclaggio a Malpensa. E così potremmo continuare con mille altri esempi.
«Nella società legalità e moralità sono centrali» sentenzia ora il cardinal Tarcisio Bertone, unendosi in questo al richiamo del presidente Napolitano. Condivido. Ho solo un piccolo dubbio: ma a chi stanno parlando?
Un milione di euro. Questa è la cifra che il dott. Adriano Cestrone, direttore dell’Azienda Ospedaliera di Padova, conta di poter recuperare da circa novecento madri, “colpevoli”, di aver pagato, tra il 2003 ed il 2010, solo il ticket sanitario, pari a 36 euro, quale corrispettivo al trattamento di fecondazione assistita. E proprio in questi giorni giunge, al domicilio delle interessate, il sollecito a pagare, retroattivamente, 400 euro, se la signora fu destinataria della tecnica “Fivet” (fecondazione in vitro), o 700 euro se alla paziente fu applicata la tecnica cosiddetta “Icsi” (fecondazione in vitro mediante iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo).
Se consideriamo che, spesso, di trattamenti se ne fanno più di uno prima di avere successo, ognuna di loro deve, in media, restituire circa 1.800 euro. Una bella differenza e un onere pesantissimo, specie di questi tempi, in cui le famiglie italiane soffrono le conseguenze dell’attuale crisi economica e finanziaria.
Vibrata sarà la nostra protesta verso le Autorità competenti perché fu la stessa Clinica Ostetrico-Ginecologica, diretta, nel periodo, dal prof. Antonio Ambrosini, che richiese, al tempo, solo il pagamento del ticket e non già gli oneri che, invece, una circolare interna dell’ospedale reclamava. L’applicabilità retroattiva è una prassi alquanto criticabile, specie se le persone erano tutte in buona fede. Ora sulle 900 povere ed ignare cittadine si scaricano le conseguenze dell’ennesimo episodio di mala gestione della Sanità Pubblica.
Celato da un telo verde che impedisce ai cittadini di vedere, in via Cavallotti a Padova, quartiere Santa Croce, in piena città giardino, a fianco del parco di Villa Montesi, prosegue indisturbato lo scempio di essenze arboree di alto fusto divelte, seppellite da terra e calcinacci, in uno scenario di natura violentata e soppressa da gigantesche gru, ruspe a ed altri mezzi meccanici. Non c’è nessun cartello che indichi il progetto, nessuna motivazione che giustifichi la trasformazione di un parco in cumuli di terra, e in un gigantesco terrapieno: solo l’indicazione di lavori in corso e un divieto di accesso che suona come una dichiarazione di «lasciateci distruggere in pace».
Un paio d’anni fa avevo denunciato il primo abbattimento, nello stesso luogo, di alcune piante centenarie e l’eco, nella stampa e nelle tv private sembrava aver bloccato l’operazione: evidentemente il destino di questo parco era ormai segnato, hanno lasciato passare un po’ di tempo, che si calmasse la reazione e l’indignazione dei cittadini ed il disegno distruttivo prosegue.
Ma perché? Perché tanto accanimento contro la natura e l’ambiente? Perché succede questo con un’amministrazione di sinistra, con un vicesindaco come Ivo Rossi dallo specchiato passato ambientalista? Perché l’amministrazione comunale, tutta proiettata sulla realizzazione di park sotterranei in centro (politica fra l’altro abbandonata dai comuni virtuosi perché attira le auto invece che allontanarle dal centro) e mega cavalcavia perde di vista e si disinteressa della tutela e della conservazione del sempre più esiguo patrimonio arboreo che ancora rimane in questa città?
Utilizzando le parole di Stefano Micossi, in un recente articolo apparso sulla stampa nazionale, “tra le cause della crisi economica italiana, un ruolo determinante è svolto dalla cattiva qualità delle istituzioni, in primis le istituzioni e i comportamenti della politica. Anche la politica è un mestiere, nel quale si entra per fare carriera e guadagnare denaro; si ottengono anche influenza e potere, oltre a mille piccoli privilegi nella vita quotidiana. Dunque, i guadagni monetari dovrebbero essere più contenuti, rispetto a posizioni comparabili nel settore privato.
In Italia avviene precisamente il contrario. Le retribuzioni dei nostri politici e degli alti funzionari delle amministrazioni sono ormai molto più alti del settore privato e, in assoluto, completamente fuori linea nel confronto internazionale. La revisione delle regole di remunerazione del Parlamento europeo ha fatto emergere l'anomalia italiana: i nostri deputati, che finora percepivano la remunerazione nazionale, guadagnano oltre 12000 euro al mese, oltre 150.000 euro l'anno. Il Paese più generoso dopo di noi, l'Austria, paga poco più di settemila euro; la Svezia e il Lussemburgo, molto più ricchi di noi, pagano intorno a 5000 euro.
Lo stipendio dei parlamentari non è che la punta dell'iceberg. Negli ultimi anni, retribuzioni generose e benefici accessori si sono moltiplicati nelle assemblee regionali - dove le retribuzioni si sono spesso allineate a quelle parlamentari - provinciali e comunali, per decisioni sempre unanimi assunte di solito in sordina, quando l'opinione pubblica era distratta. Un impiego pubblico, più che una funzione rappresentativa.
Generosi con se stessi, ma non meno generosi con i propri collaboratori nei vertici delle amministrazioni, sempre più scelti secondo il deleterio «sistema delle spoglie». Introdotta con la scusa di attirare i talenti, la contrattualizzazione della dirigenza ha condotto a retribuzioni sproporzionate - 300, 400, anche 500 mila euro per direttori generali e capi di agenzie indipendenti. Nel settore privato remunerazioni di questo livello sono percepite solo da manager al massimo livello: i quali però lavorano moltissimo, rischiano del proprio e non godono delle garanzie tipiche dell'impiego pubblico.
L'esplosione delle retribuzioni si è accompagnata a un altro fenomeno: l'occupazione diretta dei posti di nomina politica da parte di esponenti della politica che perdono il posto in parlamento o nelle assemblee elettive. L'esempio più straordinario è quello dei commissari delle autorità indipendenti, istituite per garantire che certe funzioni pubbliche fossero indipendenti dalla politica, ora riempite di politici che avevano perso il posto.
Nei prossimi anni il riequilibrio delle nostre finanze pubbliche disastrate richiederà molti sacrifici. Credo che sarà difficile convincere i cittadini ad accettarli, se prima la politica non darà seri segni di ravvedimento, cessando di saccheggiare le casse pubbliche a proprio vantaggio. Un'indagine parlamentare sulle retribuzioni delle cariche elettive e dei vertici delle amministrazioni potrebbe aiutare a far luce sulla dimensione del fenomeno; il riferimento agli standard europei per le diverse cariche fornirebbe la misura dei tagli da effettuare”.
Stante la situazione e prendendo atto dell’ormai sempre più crescente disaffezione della pubblica opinione verso
la “Politica ”,
la nostra Associazione si fa promotrice e da l’avvio ad una raccolta firme nazionale per una:
PETIZIONE AL PARLAMENTO ITALIANO PER UNA LEGGE CHE ABBATTA I COSTI DELLA POLITICA ED I PRIVILEGI RICONOSCIUTI ALLA CLASSE POLITICI
Essa può essere comodamente sottoscritta accedendo online al nostro sito web (www.cittadiniattivi.it) al seguente link (clicca qui di seguito: Sottoscrivi la Petizione).
E’ nostra intenzione, unitamente a tutte quelle Associazioni e/o Movimenti che vorranno condividere con noi questa iniziativa e che preghiamo di contattarci ai riferimenti sotto espressi, consegnare la Petizione e le firme raccolte, nelle mani del Presidente della Repubblica e nelle mani dei Presidenti di Camera e Senato onde sensibilizzare la classe politica per un radicale, etico e morale cambiamento nel rispetto delle esigenze e dei bisogni del popolo italiano.
Vi invitiamo a dare la massima diffusione a questa nostra iniziativa, segnalando il sito www.cittadiniattivi.it ed invitando tutti i contatti della vostra rubrica e tutte le persone che conoscete a sottoscrivere la petizione.
Si è votato per il nuovo Parlamento Europeo e, come sempre, nessun partito ha perso le elezioni. Nelle dichiarazioni rilasciate alle agenzie di stampa, tutti i leader politici trovano, nel proprio risultato elettorale, grandi motivi di soddisfazione tali da ringraziare il proprio elettorato. I sorrisi si sprecano, l'aplomb regge, le mani meccanicamente continuano, per consolidata abitudine, a stringersi. Qualunque sia il voto ottenuto, ogni leader di partito riesce a trovare sempre un precedente esito elettorale che ne giustifica la crescita od il consolidamento della “spinta innovativa che il partito ha saputo interpretare”. Peccato però che se qualcuno vince non può non esserci qualcuno che perde.
Non ha certamente vinto il Pdl. Contrariamente alle aspettative, non solo non centra il fatidico traguardo del 40%-45% più volte annunciato da Berlusconi in campagna elettorale ma addirittura indietreggia di oltre 2 punti rispetto alle ultime elezioni politiche. Né il PD può cantare vittoria: perde oltre il 7% rispetto sempre allo stesso voto.
La Sinistra radicale, lacerata da lotte fratricide, frutto di insuperabili personalismi, rinuncia ad un sano pragmatismo scomparendo così, come da quello italiano, anche dal panorama politico europeo. E dall'altra parte della barricata non son rose ma solo spine: svanisce la Destra di Storace che aveva stretto un patto elettorale con l'Mpa di Gabriele Lombardo, new entry del panorama politico italiano ma già sconfessato, in Regione Sicilia, dalla sua stessa maggioranza. E dopo molti lustri passati in Europa spariscono anche i Radicali di Marco Pannella & C., nonostante l'Italia, con Emma Bonino, abbia avuto, nel passato, uno dei più apprezzati commissari europei.
Certo l'Italia dei Valori ha ragioni per gioire perché aumenta il suo consenso elettorale dal 4,4% del 2008 all'8% delle Europee ma ha anche fondati motivi per dolersi. Se si esclude il solo Di Pietro, l'elettorato, con le preferenze, ha bocciato tutti i suoi candidati promuovendo in Europa, al loro posto, solo quelli indipendenti e provenienti dalla società civile. Solo il meccanismo delle rinunce incrociate ha consentito a tre di loro (Iovine, Rinaldi, Uggias) di raccogliere un seggio, segno questo che la dirigenza di questo partito non gode di un pubblico apprezzamento da parte dell'elettorato.
Di più. La new entry, il pm Luigi De Magistris ha superato, in preferenze ed in 4 su 5 circoscrizioni, il più famoso pm Antonio Di Pietro, fatto questo fino ad ora mai successo e, conoscendo il carattere del presidente, forse la cosa non deve avergli fatto molto piacere. Infatti, subito dopo per mitigarne l'effetto negativo, il partito si è subito affrettato a comunicare, all'opinione pubblica, che, di lì a poco, avrebbe tolto, dal proprio logo, il nome “DiPietro”. Sarà De Magistris il nuovo leader del gabbiano che vola?
Come l'Idv, anche l'Udc consegue una pur minore crescita ma, tra le sue file, deve registrare, forse, la bocciatura più eclatante: il principe-ballerino Emanuele Filiberto di Savoia, segno questo che l'Italia non ha ancora metabolizzato, nonostante gli apprezzamenti in tv, la presenza degli ex regnanti sul suo territorio. Anche la Lega cresce di 2 punti ma non potrà mai sfondare: da prefisso telefonico le percentuali raccolte al centro-sud.
Ma allora, chi, senza ombra di dubbio, ha vinto? La “Casta” è troppo impegnata a parlarsi addosso da non vedere che c'è un partito che ha aumentato il suo “consenso” di 12 punti rispetto al 2008 e di oltre 6 punti rispetto al 2004: il partito degli astenuti. Per le Europee si sono astenuti più di 10 milioni di elettori sugli oltre 33 chiamati alle urne, con un aumento di quasi il 10% rispetto al 2004. Certo ciò dipende dal disinteresse, crescente anche in Italia, verso l'Europa e le sue istituzioni. Ma dipende anche dal diffondersi degli atteggiamenti negativi – dalla noia al disgusto – verso una politica nostrana condita da cinismo, odio, rancore e denigrazione. Ma di questo, come sul Titanic, nessun politico sembra però accorgersi....
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